Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
Lacune
di Alessia De Luca
Anna capì di aver completamente perso di vista gli obiettivi del suo percorso. Da tempo aveva iniziato a domandarsi che senso avesse porsi degli obiettivi. Una pretesa arrogante, quasi ridicola, di avere la meglio contro un avversario che nemmeno esisite nel momento in cui lo si sfida: il futuro. L'unica vera sfida che si possa ragionevolmente accettare, pensò, guardando attraverso il finestrino sporco dell'autobus, è quella di mantenersi pronti ad affrontare l'imprevedibile. Una promessa con se stessa che, in quel momento, le sembrava quasi impossibile da mantenere.
Erano le 19:30 di un novembre cupo e pungente; nella cittadina di mare in cui viveva, gli esercizi pubblici erano chiusi, si vedevano poche automobili in giro.
Sull'autobus c'erano solo Anna e due ragazzi, incappucciati, rannicchiati sui sedili in fondo.
Dopo circa una ventina di minuti di percorrenza, l'autobus giunse al capolinea. Anna, persa completamente nei suoi pensieri, non si era neanche accorta che la vettura si era fermata.
Stava pensando al sogno che aveva fatto la notte prima. Le era capitato l'impossibile. Era tornata indietro nel passato, pochi momenti prima di perdere le cose importanti che aveva perso nella vita. Poi si era svegliata. Era stato un sogno molto intenso, di quelli che, quando squilla la sveglia e la coscienza inizia a risalire le acque della memoria, non vorresti lasciar sfumare.
Aveva rincontrato un amore perduto; una figura ambigua: tratti somatici e tratti emotivi erano ispirati a più di una persona che Anna conosceva. Nel sogno si erano fusi in uno ed erano diventati un innamorato dedito e pieno di fascino. Si era trattato di un sogno tristet però perchè, per qualche motivo, l'uomo non poteva restare.
Stava cercando di ricordare più dettagli, quando si sentì chiamare alle spalle:
"Ehi, siamo arrivati, l'autista è sceso". Uno dei due ragazzi si era avvicinato e le stava parlando.
"Ah sì, ecco, scendo subito, grazie". Rispose Anna trasalendo.
Lui continuò a guardarla per qualche secondo; aveva un'espressione cupa, malinconica.
Anche Anna ricambiò il suo sguardo; le sembrava di conoscerlo.
Poco dopo era scesa dal pullman e stava imboccando la via di casa.
L' asfalto era lucido; dai lampioni riluceva un bagliore soffuso che disegnava sui muri delle case ombre oblunghe, sfocate. Sui tetti, intorno alle fineste, lungo i balconi e sulle aiuole, piccole lucine variopinte ammiccavano, si ricorrevano, sparivano e riapparivano ad intermittenza. Era quasi Natale.
Pochi passi dietro di lei i due tipi dell'autobus percorrevano la stessa strada, nella stessa direzione di Anna.
Ci fece caso per un istante, ma si distrasse cercando le chiavi di casa in fondo alla borsa. Il classico ago nel pagliaio.
L'indomani si svegliò presto; aveva dormito poco e male. Si portava addosso una strana inquietudine da giorni. Aveva l'impressione che il futuro che aveva sempre immaginato si fosse allontanato troppo da lei, non lo avrebbe più raggiunto. Neanche lo ricorda più. Al suo posto, un enorme alone di incertezza nascondeva ogni possibile scenario.
Stava girano il cucchiaino nel thè già da qualche minuto; indugiare su quel piccolo vortice profumato era rilassante.
All'improvviso una voce da dietro le spalle: "Sono mesi che continui così, non puoi passare il resto della tua vita imbabolata su una sedia."
Anna si voltò di scatto e guardò nella direzione della voce. Ancora lui, uno dei due ragazzi della sera prima, per la precisione quello che le aveva fatto notare che il pullman si era fermato. Era lì, in casa sua, sul suo divano, con un paio di cuffie alle orecchie e le pantofole ai piedi. L'aveva guardata con il solito sguardo triste, sembrava preoccupato. Non avendo ricevuto alcuna risposta da lei, il ragazzo si era infilato le scarpe ed era uscito di casa.
Anna impiegò qualche secondo per realizzare quanto fosse assurda quella circostanza. Non poteva essere stata un'allucinazione, avrebbe significato che stava impazzendo davvero. La spirale dello sconforto la rapì di nuovo in un istante. Lo squillo del telefono la scosse, ma le permise di tornare con i piedi per terra.
"Pronto, è la signora Milligan?"
"Sono io."
"Buongiorno signora, la chiamo dalla AWA Assicurazioni, a proposito della domanda che ha presentato qualche mese fa per suo marito."
Anna non capì: "Mi scusi, non ho capito a cosa si riferisce."
"Sono Roberto signora, ha parlato con me l'ultima volta. So che è un momento difficile, ma volevo aggiornarla."
"No, guardi, dev'esserci stato un errore, io non so proprio di cosa stia parlando." Anna riagganciò. La sua voce aveva tremato di esasperazione.
Ma cosa diavolo stava succedendo alla sua vita? Sembrava che stesse vivendo quella di qualcun altro. Non ricordava più le decisioni che aveva preso, non ricordava quando aveva scelto le persone da avere accanto, non si ricordava di un matrimonio, non ricordava di aver scelto di sposarsi, nè di aver scelto una casa.
In quel momento percepiva solo una enorme pesantezza; la sentiva in ogni parte del corpo; impediva alla sua mente di ragionare, ai suoi occhi di osservare, al suo cuore di rasserenarsi.
Iniziava ad avere paura. Iniziava a non avere più un'idea chiara di sè e del domani.
Cercò la borsa, voleva uscire per una passeggiata. Sarebbe andata in tabaccheria.
Le sue dita capitarono su un piccolo taccuino nella borsa. Aveva un'aria famigliare, rassicurante. Lo prese, fece per aprirlo e ne uscì una fotografia che finì sul tappeto. La raccolse.
Era una foto di lei, accanto a lei c'era un ragazzo. Il ragazzo del pullman!
Sorridevano entrambi. Dietro alla foto una dedica: "Insieme ce la faremo, mamma. Riuscirò a farti sorridere di nuovo".
Lenta, inesorabile, dolcissima, una lacrima precipitò sulla foto che Anna stava guardando.
Sapeva d'amore, di felicità, di futuro.