Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Lettera numero 88

di Giusy M.Luisa Spampinato

Cara Marta, amore mio.
Nell'ultima lettera mi hai chiesto come sto: bene, anche se a volte mi sembra di impazzire. I giorni trascorrono tutti uguali, a eccezione di quando, di tanto in tanto, viene a farci visita un volontario.
Stamattina ne è venuto uno nuovo, si chiama Andrea. È un tipo schietto e sarcastico, che di sicuro ti piacerebbe. Anzi, se ci fossimo incontrati fuori da queste quattro mura, sicuramente saremmo diventati amici - avremmo giocato a scacchi insieme e ogni settimana tu l'avresti invitato a cena. Avremmo trascorso delle serate splendide: il tuo ottimo arrosto, vino rosso e il rumore caotico della tv in sottofondo.
Ma non si può: la vita non è un film. E dovrei smettere di pensare a come sarebbe andata se solo non mi fossi lasciato trascinare da brutte compagnie, se solo mi fossi opposto. Ma non l'ho fatto.
Ma non era questo ciò di cui volevo parlarti - so quanto ti fa male quando parlo del passato. E quindi non lo farò, ti parlerò del futuro.
No! Non ridere di me - lo so che lo stai facendo, sicuramente le tue dolcissime labbra rosse si saranno piegate a formare un piccolo sorriso, prima di dischiudersi leggermente ed emettere una leggera risata fra le lacrime causate dalle mie parole malinconiche. (E non sorprenderti, se ancora ti ricordo in ogni piccolo particolare.)
Ho deciso di parlarne, per quanto ti possa sembrare buffo e strano - mi conosci, scommetto che ricordi alla perfezione i miei discorsi, da cui trasparivano il pessimismo e la chiusura assoluta rispetto ad una prospettiva futura, che non ho mai visto, se non in maniera terribilmente oscura.
Ma sappi che non è il frutto di una mia scelta spontanea, né di un modo spensierato per trascorrere il tempo. No, è stato Andrea a costringermi: stamattina all'improvviso mi ha chiesto come mi vedo fuori da qua, come vedo il mio futuro.
Mi ha spiazzato: sono rimasto zitto, pietrificato quasi, con un blocco in gola che mi impediva di articolare qualsiasi suono.
Non ho detto nulla e ho incrociato le braccia al petto, come un bambino. Lui, notando il mio cipiglio, ha capito e si scusato, imbarazzato, a bassa voce e con lo sguardo puntato altrove. Poi ha borbottato qualcosa e mi ha salutato, con la promessa che sarebbe tornato presto.
Non ho risposto e ho cercato di evitare quel pensiero ad ogni costo, ma la sua domanda mi ha tormentato per tutto il giorno, al punto che sento la necessità di rispondere in questa lettera.
Ma non è facile, mi spaventa. E, a proposito, per questo ti prego di scusare la scrittura tremante e incerta. Spero tu possa interpretare al meglio il mio "geroglifico", come lo chiamavi tu, prendendomi in giro.
Il pensiero del futuro mi spaventa, mi fa sentire disorientato. A volte non so nemmeno chi sono, altre mi sento solo un essere vuoto condannato a stare solo fra quattro mura claustrofobiche. Come posso immaginare un dopo? Come posso solo osare immaginare qualcosa di buono?
Eppure, se provo a chiudere gli occhi e a immaginarmi fuori di qui, vedo te. Anzi, noi. Ci immagino felici, ormai liberi da ogni catena.
Ti immagino come mia sposa, se avrai la pazienza di aspettarmi e la voglia di trascorrere il resto della vita con me. Ti prometto che il nostro matrimonio sarà certamente diverso da quello dei nostri genitori, il nostro sarà autentico e vero.
Mi piacerebbe avere dei figli: due, un maschio e una femmina. Coetanei, in modo che non possano mai soffrire la terribile solitudine che abbiamo vissuto noi.
Li faremo sentire amati e protetti dalla malvagità del mondo. Quando saranno abbastanza grandi, sarò io stesso a raccontargli la mia storia, prima che possano apprenderla da altri. Dirò loro ogni cosa, con la voce tremante per la vergogna e la fierezza negli occhi per essere diventato un uomo diverso. Ogni dolore, ogni incidente e ogni errore, in modo che possano conoscere il male e scegliere consapevolmente il bene.
Poi mi piacerebbe rimediare ad ogni mio errore: cercare le persone a cui ho fatto del male, scusarmi e fare qualcosa per loro. Qualcosa che li possa fare stare bene, che possa rendere il mondo più luminoso. Vorrei essere d'aiuto, vorrei contribuire. Come fa Andrea.
Ecco, sì, come lui: mi piacerebbe fare volontariato. E sono sicuro che non sarò l'unico a farlo: il mondo sarà migliore, gli uomini saranno più consapevoli del modo in cui la loro unicità può portare bene e speranza.
A proposito - promettimi che non riderai di me, altrimenti non leggere! - ho una reminiscenza confusa dei tempi delle superiori. Leopardi, mi sembra, l'idea della solidal catena, l'unione degli uomini, l'unico mezzo che possediamo davvero per fronteggiare la natura talvolta ostile, con i suoi disastri e le malattie, e coloro che hanno attivamente scelto di fare del male - gruppo di uomini fra cui, ahimè, facevo parte anch'io. E me ne vergogno terribilmente.
Ma ora ho capito! Ti giuro, amore mio, sono diverso. Stando qui ho appreso che si può cambiare. Che esiste sempre un'alternativa, che siamo liberi di scegliere.
Ti prometto che sarò un uomo migliore, per te, per i figli che avremo. E anche per me stesso, per il piccolo Luca che da bambino sognava di arrivare alle stelle. ("Che gli è successo, poi?" ti chiederai. "Dov'è finito quel fanciullino solare?" Non lo so. So solo che a un certo punto mi sono spento.)
E per farlo, ho deciso che, una volta uscito da qui, mi troverò un lavoro onesto e comincerò a fare psicoterapia, per stare bene e fare del bene.
Ecco... ecco a che penso quando mi chiedono del futuro: tantissimi minuscoli pensieri, incastonati in un unico mosaico confuso. E mi fanno paura, temo di non esserne all'altezza, ma so che, se starai al mio fianco, andrà tutto bene.
Si tratta solo di aspettare. Chiudere gli occhi, respirare piano ed aspettare.
Perdona il foglio bagnato, ma a tratti non riuscivo a trattenere le lacrime.
Questi anni passeranno, amore mio.
Passeranno e saremo liberi.
Liberi e, finalmente, insieme. Forse non sempre felici, ma supereremo qualsiasi avversità.
Insieme.
Tuo, Luca.

 

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