Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
Tutti morti
di Parola
Alla fine siamo morti tutti, ed è stato bellissimo.
Ma no, scherzavo! E ora che ho la tua attenzione posso finalmente spiegarti come è andata.
Appena dopo quel gran casino… ricordi com’era? Ah già, tu non c’eri. Tu eri ancora altrove.
Invece io l’ho vissuta tutta e posso giurarti che sembrava non passasse più.
Sì, invece finì, e tutto nel giro di poche ore!
Quello fu un giorno che non si può dimenticare. La liberazione. Sembra ieri…
Lo penso seriamente! A volte ho la sensazione che sia passato appena un giorno. Certe volte mi sveglio e non apro subito gli occhi per paura di vivere ancora dentro quell’incubo, poi mi alzo, mi lavo, mi vesto, faccio colazione, vado a lavoro a piedi, non senza difficoltà, e riassaporo la ritrovata normalità: mi rendo conto che, per fortuna, è tutto passato. A quel punto mi sento sollevato e riapro gli occhi. Spesso il caporeparto mi guarda abbastanza male però non dice niente. Siamo ancora in ricostruzione.
Sì, molti non sono tornati normali, altri non lo sono mai stati e questo incredibile fenomeno planetario non ha fatto che svelare debolezze, stranezze, manie, alienazioni che avevamo ben celato dal corri-corri che occultava il tutto. Quando ti muovi veloce nessuno può osservarti e ascoltarti veramente, può solo intuirti. Lasci sintesi di te stesso, riassuntini, impronte superficiali, la fai spesso franca, raccogli ben poco ma passi per omologato.
Ma scommetto che queste cose tu le sai meglio di me. Magari te le hanno fatte perfino studiare, ai miei tempi non usava, studiavamo le guerre, noi… non sai quanto sei fortunato.
Dunque, dicevo, in un giorno cambiò tutto e molti di noi furono portati in una grande stanza.
Non si vedevano le pareti, per quanto le misure fossero immense, merito anche di tutta quella gente. Eravamo in tanti. Pensai che senza delle colonne l’architetto doveva aver avuto qualche colpo di genio per far reggere il soffitto, non è una cosa che si vede tutti i giorni. Sembrava una scelta pericolosa, quantomeno pericolante.
Per un attimo piombò un silenzio tanto potente da fare eco a sé stesso: il pensiero di chi non ce l’aveva fatta, il ricordo dell’amore tagliato di netto, un filo reciso rimasto nelle nostre mani. Fu quasi troppo per ciascuno di noi.
Ci invitarono all’autocoscienza ma non ottennero un grande risultato: avevamo guardato l’abisso, nel lungo periodo di crisi, e lui non ci aveva degnato di uno sguardo, nemmeno un’occhiata di traverso e quella era la certificazione di quanto poco interesse potessimo suscitare.
Talmente ancorati alla realtà che uno slancio oltre la nostra percezione diventa fantascienza.
Quindi, per non intristirci ancor di più, evitammo di leggerci dentro producendo un gran rumore con la voce, attenti a non dire nulla di importante, mimetizzati nel ciarlare.
Ci piaceva il suono libero che dalla gola guadagnava l’esterno ma senza le mascherine i suoni erano tutti comprensibili e ben presto ci rendemmo conto che saremmo dovuti tornare a veri contenuti, ora che si capiva ogni parola.
Questa cosa spiazzò molti di noi ma nessuno scelse la via del nuovo silenzio, la solitudine e l’isolamento erano nemici che si erano fatti ben rispettare.
Poi fu il turno dei vincitori: era stata indetta una lotteria parastatale e i fortunati vincitori vennero portati in trionfo. Sembravano molto imbarazzati. Nessuno aveva capito cosa ci fosse in palio, anche quando ci iscrivemmo al concorso, senza farci troppe domande visto che era gratis, la faccenda era poco chiara. Ora gli organizzatori promettevano di rivelare l’ambito premio, certo non subito, dovevano finire di fare i conti, di questo nessuno si stupì più di tanto.
Ad un certo punto arrivarono loro, quelli che comandano. Il discorso fu di una noia mortale, molti di noi, che erano sopravvissuti alla malattia, temettero di non superare quei momenti tremendi. Io canticchiavo vecchie canzoni nella testa, poi interi album e ad un certo punto una spinta mi fece tornare presente.
Ci stavamo muovendo, tutti.
Ci fecero uscire fuori. Vedemmo il sole che ci sembrò rinato, era in gran forma.
E noi eravamo tutti morti.
Ce ne rendevamo conto.
Cominciammo a dircelo, l’un l’altro.
Qualcuno decise di rimanere in quello stato.
Qualcun altro si fece coraggio e divenne emigrante.
Quelli come me si sforzarono di rinascere, che non è ricominciare, perché era cambiato tutto e non potevamo ripartire, ci toccava reinventarci, almeno in parte.
Abbiamo fatto un buon lavoro?
Non chiederlo a me. Sei tu che devi rispondere a questa domanda, figliolo.