Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

La Caverna

di Adriana

Spense la sveglia. Come ogni mattina segnava le 7.05. Abbandonò stancamente le coperte e nel farlo svegliò l'unica vera compagnia che aveva avuto nell'appartamento negli ultimi dieci anni. Polpetta si stiracchiò e si diresse subito alla sua ciotola. La routine mattutina prevedeva crocchette e latte per lei e una tazza grande di caffè per la sua padrona. Lasciò cadere la tazza nel lavandino, pensò che per una volta non avrebbe dovuto aver cura di lavarla al suo rientro. Quello era il giorno del suo futuro, mancavano poche ore al momento in cui la sua vita si sarebbe divisa tra un prima e un dopo. Si vestì: una larga felpa nera, un paio di jeans strappati sulle ginocchia e le vecchie scarpe Converse che erano con lei da così tanto tempo.

Dieci anni prima, in un giorno di pioggia, qualcuno le aveva mostrato la sua stanza, dicendole che sarebbe stata una sistemazione provvisoria. «Giusto il tempo di sistemare le cose là fuori», così aveva detto il giovane agente che l'aveva scortata in quelle gallerie sotterranee che avrebbe imparato a conoscere. Già, là fuori. Il mondo che aveva lasciato, e che le aveva strappato dalla carne e dal cuore gli affetti più cari e una vita che sembrava volerle dare tutto ciò che di bello poteva esserci, non esisteva più. O almeno queste erano le notizie che le erano giunte. Erano stati anni difficili, doveva ammetterlo: le epidemie, le guerre e le carestie non avevano lasciato scampo a molti, e neanche sogni. Là fuori aveva lasciato una madre e un padre che non avevano sopportato la scarsità di beni alimentari e un fratello nel fiore degli anni: di poco più grande di lei, aveva scelto di prendere il mano il proprio destino, quale che fosse, senza accettare l’aiuto nella costruzione di un mondo nuovo. Cosa ne era stato di lui? Il Governo aveva deciso così di dare a taluni un rifugio sicuro. Una parte della popolazione, la parte più istruita, benestante e giovane, avrebbe trovato una nuova linfa nella Caverna: una rete di tunnel e grotte sotterranee che replicavano perfettamente il mondo in superficie. Lei non avrebbe neanche voluto essere laggiù, nessuno le era rimasto di caro e la vita non le sembrava avere più valore. Era stata la folla più che altro a sospingerla fino alla prima guardia all'ingresso che le aveva chiesto le generalità e le aveva indicato la strada da seguire. E poi quel cucciolo di gatto all'ingresso si era unito a lei di sua spontanea volontà.

Pensò a questo finendo di chiudere lo zaino che conteneva gli ultimi dieci anni della sua esistenza.

Cosa avrebbe trovato fuori? E come sarebbe stato rivedere la luce, le stelle?

Era entrata nella Caverna a venti anni, come promettente studentessa di informatica e tecnologie. Lì aveva continuato a studiare, spesso per non pensare a chi era rimasto fuori, a chi non era rimasto a lei. Poi il Governo, che nella Caverna si palesava tramite messaggi su schermi piazzati un po' in ogni angolo, aveva deciso per lei il futuro: un lavoro sicuro, mal pagato, nel controllo dei software che governavano quel luogo. E anche fuori da lì poco sarebbe cambiato: le avrebbero fornito un appartamento e un nuovo lavoro. Si erano raccomandati: «Non uscite mai senza i vostri occhiali da sole e senza le tute protettive», il messaggio che passava costantemente sugli schermi. È ora eccola lì davanti all’uscita, con lo zaino in spalla, Polpetta nel suo trasportino pronta ad affrontare il futuro. Aveva trenta anni e la sua vita stava cominciando. Di nuovo.

«Appena sarete usciti da qui, sarete indirizzati sui bus che vi porteranno alla città indicata sui vostri biglietti», diceva una voce amplificata dai megafoni.

Era davvero pronta a quel ritorno nel mondo? Lo aveva lasciato quanto tutto stava cadendo a pezzi, trenta secondi la separavano dall'aria, dalla luce, dal suo nuovo mondo.

Un nuovo grattacielo, un nuovo appartamento: tutto quello che popolava la City sembrava appena uscito dalle fabbriche, pulito e asettico. Eppure Georgia sentiva l'odore del passato, un odore che sapeva di bruciato e malattie, come se non lontano da lì il passato fosse ancora presente. Era passata ormai una settimana quando decise che era arrivata l’ora di uscire da quel bunker: le avevano lasciato quello che le sarebbe bastato per sopravvivere qualche giorno ma ora anche lei sentiva il bisogno di provare a tornare alla normalità, se mai di normalità si potesse parlare. Indossò le sue logore scarpe, scese in strada e iniziò a camminare: tutto era nuovo eppure, allontanandosi dalla City, tutto le parve come se fosse già conosciuto. Il cielo, le nuvole, le strade le sembravano come quelle di prima, come quelle che pensava di aver dimenticato. Non è forse questa la via che portava a casa nostra? E poi vide in lontananza le macerie: qualche casa sul punto di crollare, qualche rifugio di fortuna costruito con le lamiere, e quel rumore in sottofondo come se tanti piccoli topi stessero cercando di scappare e nascondersi al suo passaggio. Seguì il suono che sembrava provenire dalle viscere della terra, si avvicinò ancora di più alle macerie e al loro odore di sporco e vecchio, le sembrò persino di vedere le luci accendersi e spegnersi. Una strana sensazione crebbe in lei: quei luoghi nonostante la parvenza non erano per nulla abbandonati; non erano solo strade, case e locali di prima bensì la dimostrazione visiva della resilienza. Da lì, il Governo avrebbe dovuto far ripartire il nuovo mondo mentre aveva preferito cancellare, allontanarsi da quell’odore di disfatta. Georgia però era ancora troppo legata a quello che aveva perso, per questo lasciò la paura alle spalle e, scavalcando rottami, detriti e rovine, arrivò fino alla porta di quella che ricordava fosse la loro cantina. Cosa pensava mai di poter trovare là dentro dopo dieci anni?

Una luce improvvisamente si spense, un sussurro si allontanò in un angolo a cercare riparo.

«Tu sei vivo…», riuscì a pensare prima di rendersi conto che il suo nuovo mondo sarebbe iniziato da lì.

 

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