Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
TRENODÍA
di Daniela Quieti
L’uragano Covid 19 sembrava passato ma, nel piccolo paese di Barre, aveva lasciato segni indelebili. La casa di riposo, una delle più grandi della zona, era stata duramente colpita con numerose vittime tra gli anziani e lo stesso personale.
Il giovane Sindaco Roberto Ripoli aveva intuito, fin da subito, che le cose potevano mettersi male per gli abitanti del suo paese, stretto fra due centri maggiori che erano stati dichiarati “zona rossa” durante la prima ondata.
Aveva chiesto, ai dirigenti dell’Azienda Sanitaria Locale, direttive precise per arginare la diffusione dell’epidemia, invece quelli gli avevano dato i rituali consigli sull’igiene, il distanziamento sociale, l’uso delle mascherine e, al limite, la chiusura della scuola elementare.
La popolazione di Barre non era concorde: chi voleva rispettare scrupolosamente le indicazioni di contenimento e chi chiedeva, invece, libertà di comportamenti, scuola e negozi aperti, bar e ristoranti compresi.
Lo stesso Consiglio Comunale era diviso.
Il Sindaco, preso tra due fuochi, era terrorizzato dalla prospettiva di finire tra i paesi nei quali il virus si sarebbe diffuso più rapidamente e letalmente.
E così fu: prima la casa di riposo, poi singole famiglie furono contagiate e i casi crescevano velocemente.
Roberto si precipitò alla ASL a chiedere di far effettuare i tamponi a tutti i suoi residenti, ma si sentì rispondere che al momento non c’era la disponibilità necessaria: “Appena possibile, vedremo cosa potremo fare. Adesso abbiamo altre priorità”.
Intanto, il Comune di Barre fu dichiarato “zona rossa”.
Il Sindaco, più preoccupato che mai e logorato da notti insonni, chiese un appuntamento al Prefetto e al Presidente della Regione che glielo fissarono di lì a venti giorni.
Disperato, emise un'ordinanza per adibire la scuola elementare, ormai chiusa, a centro operativo e a ricovero per i contagiati che vivevano soli, o che non potevano convivere con i propri familiari per la ristrettezza dell'abitazione e la pericolosa vicinanza con persone molto anziane, quindi più esposte al rischio di ammalarsi.
Con l'aiuto del medico condotto e del farmacista, fece distribuire mascherine, guanti, disinfettanti e si assicurò quante più possibili dosi del vaccino contro l'influenza stagionale.
Ci furono, naturalmente, i “no vax” che rifiutarono l'antidoto e questo non fece che aumentare le sue frustrazioni.
Di giorno, lavorava come un forsennato; di notte, dormiva un sonno agitato da incubi, dubbi. Era dimagrito, mangiava poco, in fretta e malvolentieri. Un'ansia sottile lo stava logorando.
Di tutto ciò si rendeva conto perché la sua mente era lucida e spesso si chiedeva se stesse facendo le cose giuste.
Una sera, si ritrovò a passare davanti alla chiesa parrocchiale. Il portone sembrava, come sempre, chiuso, però la grossa chiave di ferro scuro era nella toppa. La girò ed entrò. L'interno era poco illuminato e le statue dei santi sembravano incombere, ma lui si inginocchiò e pregò.
Si stava accingendo ad andarsene, quando si accorse di non essere solo. Guardò bene nella penombra e gli sembrò di riconoscere il suo vecchio professore di filosofia del liceo: una persona buona e comprensiva a cui aveva voluto sempre bene. Gli venne istintivo andare a salutarlo.
Non appena fu un po' più vicino, il professore gli disse: “Vieni, Roberto, siediti qui insieme a me.”
“Certo, grazie professore.”
“Non mi ringraziare... parliamo, piuttosto... forse ne abbiamo bisogno entrambi.”
“Oh, sì, sapesse come mi sento affranto, professore; vorrei fare di più per questo paese, tuttavia mi sembra di avere tutti contro... la burocrazia... e anche alcuni che credevo mi fossero amici... mi stanno voltando le spalle. Sono pessimista, professore. Lei come crede che andrà a finire? Ha immaginato il futuro, il ‘mondo di dopo’, il domani?”
“Non ti so rispondere, Roberto. Forse il mondo che verrà sarà meno sicuro della sua onnipotenza, più incerto, più attento a non guastare la natura che lo circonda, a rispettare l'ambiente, alle abitudini alimentari... chissà... ‘so di non sapere’, ragazzo mio, di questo sono certo.”
Roberto tace, riflette su queste parole; tuttavia non può fare a meno di notare che il professore ha abbassato la mascherina e si sta asciugando gli occhi con un fazzoletto.
“Professore… lei sta piangendo!”
“Eh, sì, caro Roberto. Mi rivolgo al Padreterno con le lacrime agli occhi per esprimere il mio lamento accorato, il mio piagnisteo, la mia trenodìa per quello che ci sta capitando. Sono vecchio, tra poco me ne andrò chissà dove... e ti devo dire che mi dispiace molto lasciare questo mondo.”
“In questo momento non è un bel mondo, professore... ma come sarà tra un anno, dieci anni?”
“Sarà il vostro mondo. Il futuro non è solo nelle mani di Dio. Lui si servirà delle vostre mani per confezionarlo, delle mani dei giovani, di quei giovani che penseranno al bene comune piuttosto che all'egoismo della nostra generazione. Acquisite la coscienza collettiva, mettete al primo posto la pace e il benessere sociale.”
“E che altro, professore, me lo dica!”
“Coltivate la conoscenza, l'arte, la bellezza, la musica, la letteratura, la filosofia... la cultura... tutto ciò che arricchisce l'anima e ci rende veramente degni di essere uomini.”
“Adesso riconosco il mio professore di filosofia. E che ci fa qui in chiesa... a pregare, immagino.”
“Un poco di filosofia inclina la mente dell'uomo all'ateismo, ma la profondità in filosofia lo avvicina alla religione.”
“Ma la filosofia insegna a fare, oltre che a parlare?”
“La filosofia non è una teoria ma un'attività. I filosofi interpretano il mondo in modi diversi. Ora è il momento di trasformarlo. Vai, adesso, Roberto, e sii forte. Le avversità che stai affrontando ti tempreranno ed esalteranno le tue virtù.”
“Vado, grazie professore, grazie.”
“Vai.”
Roberto uscì dalla chiesa. Si sentiva più leggero.