Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
#celafaremo
di Libero Didire
"Buona sera, ce l’ha l’autocertificazione?”
Pioggia, nebbia. E buio. Agli agenti in servizio quella ragazzina vestita di stracci è sembrata da subito strana. Li guarda, ma non li vede. Sembra sentirli, ma non ascolta. E quel volto rigato? Sarà la pioggia…
“Mi dai i documenti? E l’autocertificazione”. La donna di pattuglia ha una bella voce, calda ed equilibrata. Rasserena. Forse per questo la ragazza risponde.
Un bisbiglio, quasi un sibilo. “Non ce l’ho”.
I poliziotti non sono sicuri che abbia parlato. Uno dei due, l’uomo, si spazientisce, alza la voce. “Signorina, insomma! Non ci faccia perdere tempo. Noi qui dobbiamo lavorare. Favorisca i documenti e ci dica perché è uscita di casa”.
Sembra aver sortito qualche effetto, lei ora è attenta, ma il viso è trasformato. Ha paura! Un’emozione atavica che sgorga copiosa dagli occhi, che trasforma la bocca in una smorfia. La ragazza è terrorizzata.
L’uomo, poco paziente, pensa bene di rincarare la dose, urla più forte, è ancora più duro: “Allora, dobbiamo aspettare tutta la notte? Favorisca i documenti. E ci dice perché è uscita di casa?”
Stavolta non sibila la ragazza, non bisbiglia. Urla. Con quanto fiato riesce a radunare nei suoi piccoli polmoni: “Perché sono uscita? Per sfuggire al mostro, ecco perché!”
Ma le ultime parole i due di pattuglia forse non le sentono. Lei sta già scappando. Non la prenderanno, anche se quella sarà una notte di sirene e lampeggianti. Non la prenderanno. Lei è andata via.
Ora la ragazza è sola. Lo è sempre stata, ma questa sera di più. E ha paura. Ma è una paura diversa. È quasi adrenalina. Non più il terrore che provava lì dentro.
Le hanno detto “Fuori è pericoloso, il mostro è fuori… il virus uccide… state a casa”. A casa? Davvero pensate che sia così facile?
Una smorfia le trasforma ancora una volta il bel visino. Sembrerebbe quasi che sorrida, se non fosse che invece continua a piangere. Alza gli occhi al cielo. È da lì che vorrebbe una risposta, che però non arriva. O forse sì?
Apre lo zaino, tira fuori il telefono e guarda le foto che porta stampate dentro di sé. Le bacia.
La madre, la sorella: prigioniere. Persino in quelle foto riconosce i segni violacei di quella vita d’inferno, vede la pesantezza di quegli anni di galera, della sconfitta e dell’umiliazione. Vede la paura, le preghiere inascoltate, sente i silenzi pesanti come quella morsa che le attanaglia lo stomaco.
No, non la prenderanno. Non tornerà dentro “dove sarà al sicuro”. Ce la faremo. Ma a fare che? A farci ammazzare?
Stai a casa! Ce la faremo! Andrà tutto bene…
L'hanno vista girare per le strade senza una meta, vestiti logori e zaino pieno di ricordi. Ricordi che non vuole, che l’hanno sporcata e umiliata. E tradita. Da chi aveva il dovere di difenderla, di insegnarle cos’è la tenerezza. Tradita da chi l’ha messa al mondo.
Quell’uomo ora è morto, almeno per lei. Ma per le altre due, rinchiuse nel carcere di quella casa…
Per loro deve fare qualcosa. Ecco perché non è andata via, perché si acquatta nel buio, mangia rifiuti e mastica veleno.
Sembra un animale braccato, Maria. Ma non è un animale. Se lo fosse, avrebbe avvertito la presenza alle sue spalle. Gli animali oltre all’istinto hanno i sensi sviluppati. Lei no, perché l’udito è stato compromesso dalle sberle e la vista… avrebbe avuto bisogno di occhiali da piccola, ma non c’erano mai abbastanza soldi! Per bere sì, per i suoi occhiali no.
Non è un animale, Maria. Quell’altro sì, l’orco che sta a casa, ma lei no! Se fosse un animale avrebbe avvertito la presenza alle sue spalle. Quella presenza che la bracca da giorni, senza riuscire a stanarla dalle sue tane improvvisate. Ma stavolta ce l’ha fatta, con l’aiuto dei droni. E le piomba alle spalle. Le cinge le braccia e la immobilizza. Ma non stringe. Non vuole farle male, non vuole imprigionarla. Vuole solo abbracciarla. E lo sente anche Maria. O almeno vuole sentirlo… Da quanto tempo nessuno l’abbraccia? Ma poi, con la coda dell’occhio, vede l’uniforme sulle braccia che la cingono e capisce di essere caduta in trappola. Prova a scappare e sente l’abbraccio farsi forte, vincolante.
Non ce l’ha fatta, l’hanno presa e la rimetteranno in gabbia. E stavolta non ne uscirà più. Perde ogni illusione, ogni volontà di riscatto, tutte le attese di quella fuga nel nulla, dove anche un virus letale è preferibile alla violenza. Perde ogni speranza, la piccola Maria.
Ma è un attimo, poi sente la voce di chi la sta cingendo. È calda, rassicurante. Maria la riconosce. È la voce della poliziotta che l’ha fermata l’altra sera, insieme a quello che urlava.
“Aspetta, non scappare. Io posso aiutarti…” Un sussurro, una promessa. E Maria, con i suoi sedici anni, vi si abbandona con un pianto disperato.
Due anni fa sembrava che il mondo fosse al capolinea. Chiuso in casa da un mostro cattivo. Un altro. Ora quel mostro è stato sconfitto, non prima, però, di aver ricevuto il proprio tributo di vite e di eroismi.
Maria passa nel luogo dov’è stata fermata quella notte. Si sorprende a pensare che nella vita ogni incontro ha in sé qualcosa di brutto e qualcosa di bello. Ricorda le urla del poliziotto e lo sguardo interrogativo della sua compagna di pattuglia. Uno sguardo che non aveva smesso di cercarla nei giorni successivi e che l’aveva accompagnata a casa, per porre fine al suo incubo. Suo e delle donne con cui viveva. Perché c’era una legge, glielo aveva spiegato la poliziotta, che le permetteva di allontanare l’orco. Niente di facile, intendiamoci, ma cosa lo è?
Maria non piange più. Stringe la mano a un ragazzo, occhi scuri e muscoli scolpiti. Muscoli che si tendono solo per abbracciarla e proteggerla. Nient’altro!
Chiude il suo diario, Maria. Vorrebbe chiudere così facilmente anche il suo dolore. L’orco, sebbene fisicamente sia lontano, non è andato via da dentro di lei, ci vorrà tempo. Glielo ha detto l’assistente sociale che la segue. E anche tutti gli altri. Ci vorrà tempo, sì.
Ma ce la faremo.
Stavolta ci crede anche lei, lo sente forte. Sì!
Ce la faremo!