Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

IL CROLLO DELL'IMPERO

di Stefania Fidelibus

I giorni che verranno sono gravidi di speranza poiché non abbiamo alternative sentimentali e prenderanno la forma dei giorni passati, perché ciò che deve accadere non ha aspetto e l’unico profilo che possiamo attribuire all’incerto è il certo. Ragionando nel dettaglio, potremmo affermare che se amassimo ciò che ci aspetta, se avessimo fiducia nei momenti a venire, useremmo di più il tempo verbale del futuro semplice, e abuseremmo del futuro anteriore, indizio di pensiero logico diacronico che organizza le idee, approssimativamente per carità, in un diagramma di flusso.
E invece ci esprimiamo come se fossimo in un eterno presente, in una continua sincronia di brevi fatti, contingenti, affastellati e urgenti, vissuti con l’ansia dei bisogni primari, nulla è pensato, nulla è interiorizzato e l’esperienza non esiste più. Non ci concediamo neppure la possibilità di un dubbio, di una sospensione...non sappiamo esitare e se siamo creativi troviamo dovunque una soluzione immediata altrimenti cediamo allo sconforto, al nulla spirituale. Non usiamo il tempo futuro anche perché il futuro arriva troppo presto, non facciamo in tempo a nominarlo che è già qui e ogni ipotesi per identificarlo appare vana e inutile, Mercurio giunge velocemente con i suoi calzari alati a portarci notizie, è un guizzo, è un battito di ciglia. Tutto il vortice in cui siamo immersi richiede una lingua semplice che non faccia perdere tempo a chi tempo proprio non ne ha e lui e lei sono meglio di egli e ella che troviamo nei libri e tanto ci basta. Quelli che erano errori ortografici, morfologici e sintattici sono accettati, gli studiosi sospirano con condiscendenza ed indulgenza, le stesse che avrebbe un insegnante di fronte ad un alunno che poverino più di tanto non può fare. Apprendiamo attraverso le immagini, comunichiamo con i colori degli evidenziatori, uno per ogni concetto brevemente espresso in testi allo stesso modo corti e brutti, tanto è già stato detto tutto, tutte le trame esperite, ogni finale trovato...cos’altro abbiamo da argomentare che non sia già da qualche parte, su una qualunque pagina? Soffriamo di un complesso di inferiorità tremendo e nulla può essere altrettanto commovente, eroico, appassionante quanto ciò che abbiamo letto, visto, sentito in passato.
Questi giorni assomigliano a quelli del primo secolo dopo Cristo, raccontano di disgregazione e frantumazione della cultura e della scienza, le vie di comunicazione materiali, segnate in precedenza sono abbandonate, i ponti crollano e le strade hanno buche, voragini e erbacce perché nessuno è più disposto a svolgere la manutenzione, i cavi ci trasportano all’altro capo del mondo meglio del tappeto di Aladino, perché darsi pensiero? Se erigessimo un'antica basilica, anche noi, come in Santa Prassede a Roma, metteremmo sopra l’altare un Cristo con un rotulo chiuso in mano: non si legge e non si scrive più.
Il quadro sembra terribile, ma appare tale solo perchè noi vi siamo immersi e non ci poniamo ad una distanza adeguata tanto da poter vedere in prospettiva, osserviamo una miriade di particolari ma il modello d’insieme ci sfugge. Bisognerebbe essere lontani dal presente per avere uno sguardo ampio e invece siamo vicini a questi tempi e inoltre lo strutturalismo non è più attuale, ci è impedito di immaginare apparati di pensiero complessi, figuriamoci costruirli. Ma ciò che accade è un soccorso che la natura ci offre, la perdita delle capacità filosofiche è un procedimento per resettare il cervello, per ripulirlo da ogni residuo di vecchio e stantio in modo che la nostra mente possa essere sufficientemente aperta per accogliere il nuovo, lo sconosciuto, anche se lo scotto da pagare è necessariamente la stupidità. È lo stesso adattamento per il quale ci viene richiesto anche un differente sistema immunitario, perché quello di cui siamo dotati è ormai inutile di fronte alle malattie che ci aspettano e anche qui c’è un obolo da pagare in paura e dolore. La speranza che nutriamo nei giorni futuri è proprio questa, che la devastazione serva, che sia utile alla costruzione di un universo culturale che non conosciamo, che nascerà a prescindere da tutti gli sforzi che possiamo intraprendere per conservare una lingua che sta inevitabilmente morendo. Tutto ciò che aggiungiamo, neologismi, prestiti linguistici e complicazioni strutturali non indicano che una perdita, l’abbandono di una sostanza che non tornerà, se non in una ristretta cerchia di sacerdoti dediti al culto del passato. Il popolo parlerà tanto ma con un lessico ridotto e mutuato sulle cose e sulle idee semplici, quotidiane e lascerà in eredità le foto dei cibi cucinati nelle case. Tuttavia non dobbiamo crucciarci, viviamo in un’epoca di transizione e sebbene verremo ricordati come esseri insulsi e ignoranti, sappiamo che la nostra idiozia è utile, il nostro elettroencefalogramma piatto è funzionale alla rimozione di ogni ostacolo che possa opporsi all’arrivo, a lungo atteso, di un tempo inimmaginabile, complesso, magnifico, universale e dominato dalla capacità di comunicare profondamente e intensamente e forse torneremo alla lentezza, a intraprendere interminabili pellegrinaggi ideali sulle vie elettriche che abbiamo tracciato senza sapere perchè.

 

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