Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

COVID. Prima (te) Levi (meglio è!)

di Prima Levi

Mi rivolgo a Voi che vivete agiati, nelle vostre tiepide case, a voi donne che sfoggiate il vostro rossetto più smagliante e a voi uomini che inondate i vostri dintorni di dopobarba, si, a voi che vi lamentate della frenetica vita quotidiana tra lavoro, impegni, palestra, supermercato e centro città.
Considerate se questo è un mondo di uomini che lavorano da casa, che hanno perduto la spensieratezza, che lottano per il diritto al sorriso ma sono obbligati a nasconderlo dietro una mascherina, che muoiono per un goccio di saliva, per uno starnuto, per un contatto o per un bacio.
Considerate se questo è un bambino,
lontano dalla scuola, senza l’amico, la fidanzatina o il nonno, preclusa gli è la possibilità di scoprire, vuota la sua memoria e sedate le sue emozioni, recluso in una cella, in isolamento: relegato in casa.
Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore quando vi lamenterete della vita, coricandovi, alzandovi o persino andando a lavorare, voi che ne avrete la possibilità.
Ripetetele ai vostri figli. O vi sia impedito di uscire, di vivere, di manifestare fisicamente l’amore, come a noi, mascher(in)ati del 2020.
Non in guerra ma in pandemia!

Riprendere e riadattare in forma discorsiva le parole di Primo Levi, che aprono il sipario al celeberrimo e miliare libro “Se questo è un uomo”, non è stato difficile. La contingenza, in fondo, non si chiama guerra, ma l’aria viziata che si respira è quasi la stessa. In molteplici situazioni mi sono sforzata ad immaginare come saremo chiamati noi, uomini, donne e bambini del 2020 (e chissà di quanti anni ancora a venire). I protagonisti del secolo scorso ed in particolare delle due guerre mondiali avevano tre opzioni: soldati, deportati o politici. Se ben ci riflettete, anche oggi ci dividono, e forse domani ci identificheranno, con queste tre categorie, attribuendo un predicato a noi che siamo “soggetto”. Gli operatori sanitari sono e verranno definiti “soldati che hanno combattuto sul fronte o in trincea”. Alcuni di loro, saranno i caduti in guerra, altri “i partigiani della Resistenza” che hanno somministrato il vaccino liberando la nazione ed il mondo da un avversario la cui arma più potente non è il cannone, non l’Enola Gay, il bombardiere B-29 Superfortess che sganciò la prima bomba atomica, ma l’invisibilità. I deportati sono coloro che, senza via di scampo, saliti sulle ambulanze, hanno detto addio ai propri affetti ed hanno iniziato il travaglio del mantenimento in vita grazie ad una macchina che respira al posto loro. Per la prima volta nella storia una deportazione assume un’accezione positiva, o meglio traboccante di speranza...a volte salvifica, altre volte riconducibile all’ultimo viaggio di questa vita. Per quanto concerne l’ultima definizione, ahimè, constato amaramente che questa permane nella storia come un filo rosso: non c’è mondo senza politica, non c’è epoca senza politica, non c’è catastrofe senza politica e non è esistita mai una vita senza la politica. Otto von Bismarck diceva che “la politica è l’arte del meglio che verrà”...ad oggi rispondo “quando non si sa!” data la distanza che intercorre tra l’ultimo respiro del cancelliere e la mia nascita. Sugli “animali politici” come garbatamente li definisce Aristotele in “Τὰ πολιτιϰά”, non mi soffermerei troppo, attenendomi, fiduciosa, al consiglio del latino Luciano di Samosata sull’imparzialità dello scrittore...ad ognuno le proprie considerazioni!
La catacresi che la parola guerra sta subendo, in questo frangente, farà mutare definitivamente e perennemente il significato del termine. E chissà se tra qualche anno, nelle ristampe del Sabatini Coletti, tra gli esempi citati sotto la definizione di questa parola, comparirà anche qualche frase associata al periodo del COVID-19. La definizione del coronavirus come un frangente bellico non deve rimanere solo una trovata di visibilità e di suadenza per i tuttologi che riscaldano le poltrone della tv e che blaterano e speculano su un periodo spettrale....chi lo ha provato, può testimoniarlo. Chissà quante pagine verranno dedicate al 2020 sui libri di storia e come verranno esposti, narrati e descritti i Dpcm, le restrizioni e come verrà illustrato lo stivale Italiano...vestito da Arlecchino??
Ciò che più di tutto solletica la mia immaginazione è la fantasia di presentarmi davanti agli occhi il momento futuro in cui mi verrà detto “puoi togliere la mascherina”, “puoi riabbracciare tua nonna”, “puoi fare visita alla tua amica che abita fuori città senza pericolo di una multa”, “puoi tornare a guardare il mondo dall’oblò della nave o dal finestrino dell’aereo”, “puoi tornare a vivere come prima”. Lo capirò quel “come prima”? Saprò comportarmi come se tutto questo diventasse un educativo, indelebile ma lontano ricordo?
Tra le “cose di dopo” voglio sperare che ci sia la capacità di non dimenticare, oltre che una dose di vaccino anche contro il deserto di valori.

 

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