Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Il bambino

di Michele Arezzo

Un bambino sedeva per terra.
Su una pietra.
Aveva un berretto bianco e la maglietta del Catania coperta di sabbia e fili d’erba.
In mezzo alla campagna c’era un cammino di carri, camion e grossi vagoni gommati; e tutto intono, uomini, donne e bambini come lui, disciplinati in file perfette.
Non c’erano vecchi.
I vagoni gommati sgasavano, acceleravano a vuoto, s’impennavano e di colpo ripiombavano giù, cercando di muoversi sulla terra divelta e molle, con il muso puntato verso lo spiazzo grande e i militari che davano loro una mano infilando spesse assi di legno sotto le ruote impantanate. I camion e i carri avanzavano più svelti, ma provocando un rumore di ferraglia e scoppi così violento che la gente più vicina era costretta a incassare il capo fra le spalle e tenersi le mani a pugno sulle orecchie.
Gli uomini e le donne, e gli altri bambini, marciavano lenti nel fango che gli arrivava fino ai polpacci.
Ma il bambino se ne stava fermo, e muto, e con le mani giunte sopra le gambette.
Guardava dritto davanti a sé: c’era una mucca magra e con il pelo sporco, e un po’ sparuto, che un uomo piccolo cercava con mille preghiere e mille bestemmie di far muovere.
Io lo avevo di fronte.
Lo guardavo, ma non riuscivo a muovermi, perché subito mi salivano pensieri e malinconie lontane.
Mi voltavo per un po’ e raccoglievo la babele che mi si allagava intorno. Poi però tornavo a guardarlo e lui era sempre là.
A un certo punto mi sono avvicinato.
- Come ti chiami? – volevo domandargli se c’era qualcuno con lui, ma avevo paura.
- Primo – aveva detto, ma con la voce cupa e con occhi che non offrivano niente.
La mucca adesso camminava, seppure un poco traballante.
- Non trovo il mio cane – aveva detto all’improvviso.
- Forse è con mamma e papà?
- Non può essere… – aveva risposto con un tono ordinario, come se gli avessi chiesto una scemenza.
Lo guardavo, ma non mi riusciva di pensare lucido. Quando cominciavo a dire le cose che andavano dette mi montava la paura e le parole mi morivano in bocca.
- Che cane è?
- Un cane bello… nero… era qui con me e poi è scappato dietro una gallina – adesso mi guardava.
- Secondo me è con mamma e papà, e adesso ti stanno cercando, e chissà quanto sono preoccupati.
- No… non può essere – aveva ripetuto con la stessa voce di prima.
Cercavo fra la gente qualcuno o qualcosa, uno sguardo, una mano alzata, persino un abbaio, ma era come se tutti scivolassero solo in avanti, solo in avanti, e pensassero solo a marciare verso il grande spiazzo. Nessuno si voltava indietro. Maledizione. E io intanto cominciavo a chiedermi quanto tempo ci fosse ancora.
- Da dove vieni?
- Da Acitrezza.
- Siete dovuti scappare… – non volevo dirlo, ma avevo i suoi occhi addosso e mi sentivo come nudo.
- Sì… per la grande onda… papà aveva detto che dovevamo andare…
- E dove pensi sia la tua famiglia adesso?
Lo avevo detto senza prendere fiato, mentre per non vedere i suoi occhi, guardavo la distesa che intanto aveva preso a svuotarsi. Il bambino non aveva detto niente, ma nemmeno aveva smesso di fissarmi.
- Devo trovare il mio cane… gli viene paura quando non ci sono io.
- E adesso lo troviamo, certo che lo troviamo…
- Ha dodici anni e si è fatto tutta la strada con me e sarà stanchissimo…
- Lo troviamo, Primo, lo troviamo… solo questo non è un posto buono per aspettarlo.
- Ah no? – adesso gli tremava il labbro di sotto.
- Dobbiamo andare verso il grande spiazzo… dove ci sono le persone e tutti gli animali, tutti…
- Non è che lui torna qui e pensa che non lo voglio più?
- Si è messo a correre dietro una gallina, Primo, e le galline stanno andando tutte lì.
- Fammi aspettare ancora un po’… poi vengo, promesso, promesso…
Adesso mi aveva tolto gli occhi di dosso e si era messo a guardare lungo la distesa che ormai s’era fatta vuota.
- Primo… fidati di me, lo troviamo insieme, vieni… ti prego, vieni, fa come ti dico…
Avevo allungato la mano e messo su la faccia giusta, ma il bambino continuava a guardare il cammino di terra stremata.
- Fammi aspettare solo un altro po’, solo un altro po’…
- Devi venire con me, Primo, devi venire con me, devi fidarti, lo troviamo insieme, giuro che lo troviamo insieme…
- Ma se viene e non ci sono…
Il bambino adesso piangeva.
Piangeva, ma non come fanno i bambini. Piangeva piano, con la bocca stretta e con i pugnetti chiusi.
E allora io l’ho preso in braccio e mi sono messo a correre perché non c’era più un minuto che si potesse perdere.
Gli tenevo, leggera, una mano sulla testa, e continuavo a dirgli in quel suo piccolo orecchio, che quasi avevo sulle labbra, che sarebbe andato tutto bene.
- Io avevo solo il mio cane… io voglio solo il mio cane.
Era il giorno di natale.
L’ultimo natale che qualunque umano avrebbe mai passato sulla terra.
Sul grande spiazzo, le astronavi inghiottivano la nostra civiltà e il mondo che restava.

 

Registrati o fai il login per votare!







Iscriviti adesso alla newsletter del FLA per essere sempre aggiornato su tutte le novità e le iniziative del Festival!