Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
Una nuova me
di Katia Pellegrinetti
Le cose di dopo per me non esistevano, per il semplice motivo che non c’era neppure un prima. Come potevo avere un futuro, se ero priva di un presente? Ok qualcuno potrebbe pensare che io sia pazza. In effetti un presente, un prima del dopo, c’è stato, ma non è da tenere in considerazione. Questo perché ero come uno scatolone, pieno di oggetti dimenticati, lasciati a invecchiare. Lo scatolone lo vedi, nell’angolo della soffitta. Se ne sta lì, inerme, che prende la polvere. Sai che al suo interno si nascondono tanti ricordi, però tutto sedimenta lì, non serve a nulla. E quando non Sali in soffitta, quindi per almeno 364 giorni l’anno, lo scatolone rimane nel suo angoletto immobile: quasi privo di un presente, fantasma di un passato, incerto di un futuro.
Quando mi sono risvegliata dal coma, anche il mio passato era cancellato. Non parlo del passato immediato, quello che fino a poco prima era un “presente assente”, ma parlo proprio di tutta la mia vita prima del coma. Chi ero stata non mi era dato conoscerlo, dato che nessuno era venuto a “reclamarmi”. Ne deducevo che quindi ero una persona sola, forse spregevole, forse asociale, forse tutte queste cose. Tutto quello che si sapeva era che il documento che portavo con me citava: “Giada Rossi” e, a seguire, un indirizzo. Dal medesimo pezzetto di carta avevo appreso di avere 35 anni, di essere impiegata (non si sa bene dove e in cosa), di appartenere al ceto medio-alto (insomma non vivevo in uno squallido quartiere di periferia) e dovevo essere molto disordinata, visto lo stato molto stropicciato dei miei documenti. Riflettei che forse non lavoravo più come impiegata, forse non avevo aggiornato i miei documenti, altrimenti qualcuno mi avrebbe contattata dal posto di lavoro, no? Ero solo un nome, una via, niente più. I miei familiari forse erano morti, o forse mi detestavano, o forse chissà.
Mentre riempivo la borsa, prima di lasciare l’ospedale, riflettevo sui miei vestiti: da persona nella media, ma troppo colorati …Avrei dovuto provvedermi un guardaroba nuovo, nei prossimi giorni … Prossimi giorni … Futuro … Solo la parola mi faceva venire i brividi lungo la schiena. Una volta a casa avrei cercato di scoprire più cose possibili della vecchia me. Avrei potuto chiamare i numeri di telefono che possedevo. Avevo davvero tanto da fare per scoprire chi ero, o quanto meno chi ero stata. Ma in me c’era anche una sottile ebbrezza: potevo diventare chi volevo. Le cose di dopo, dopo il coma intendo, erano ancora tutte da scrivere e la vita mi offriva un’opportunità pazzesca: decidere chi sarei stata. A pensarci bene è una possibilità che tutti hanno, ma quasi nessuno ci riflette. Nel mio caso però potevo affermare che la vita mi stava offrendo una seconda chance.
La casa sapeva di chiuso, dopo tutto non ci entravo da … Da quanto? Ben due mesi, a quanto mi avevano detto in ospedale. Era tutto in ordine e questo metteva in dubbio la mia certezza di poco prima: una me disordinata. La cassetta della posta era strapiena, ma si trattava per lo più di bollette e pubblicità. Insomma, nessuno che mi avesse cercata per il piacere di sentirmi! Nel cellulare avevo solo una ventina di contatti, di cui almeno cinque o sei appartenevano a numeri di professionisti, quali idraulico, elettricista … Mi saltò all’occhio il nome di una certa Tatiana. Chi era? Avrebbe potuto dirmi qualcosa su me stessa e sul mio passato? Avrebbe potuto essermi utile per costruirmi un futuro? Girovagai per casa: era carina, avevo avuto abbastanza buon gusto nell’arredamento. C’era una foto che mi ritraeva, qualche anno più giovane, con due persone molto anziane. Forse i miei i miei nonni. Ma possibile che non avessi amici? L’unica era tentare con quella Tatiana … Ma in fondo che amica poteva mai essere se in ospedale non si era fatta viva? Nel cellulare c’era una chat molto breve con lei, dove ci davamo un appuntamento, non specificando il luogo, ma solo ricordando che ci saremmo viste il giorno dopo. Forse avevo l’abitudine di svuotare le chat nella mia vita passata? Era possibile a giudicare il numero di chat vuote che avevo. Era un miracolo che il telefono si fosse salvato, nonostante tutto ed era un miracolo che riuscissi anche a ricordarmi qualcosa su come utilizzarlo! Ma il punto era un altro: potevo tentare di riallacciarmi al passato, chiamando Tatiana o qualcuno dei miei contatti facebook (pochi), oppure potevo inventarmi una nuova me. Cosa sapevo fare? Cosa avevo studiato? Non ricordavo niente e, diciamoci la verità, a 35 anni ricominciare tutto da capo è una faticaccia. Tuttavia, se nessuno reclamava Giada, allora Giada poteva diventare chiunque e il futuro, incerto, si faceva anche interessante. Avevo la scusa di aver perso il mio passato, per dare nuova voce al futuro e le cose di dopo non dovevano farmi paura.
Il mio entusiasmo durò per un tempo breve e si infranse quando un certo Marco, su facebook, mi scrisse chiedendomi se fossi ancora viva. C’era una chat lunghissima con lui ed ero incerta se leggerla o no. La curiosità mi spingeva a leggere, ma temevo che scoprire qualcosa sul mio passato avrebbe potuto influenzare il mio nuovo futuro. O forse potevo anche conoscere il mio passato, ma lasciarmi aperte tutte le possibilità per l’avvenire ma, in questo ultimo caso, ne sarei stata capace? Aprii la chat: l’ultima volta che gli avevo scritto risaliva alla sera prima del mio incidente. Lo schianto con l’altra auto infatti era avvenuto, da quanto mi avevano detto in ospedale, la mattina del 9 Gennaio e la chat risaliva alla sera prima. Scorsi velocemente la chat, poi nella mia testa si accese come una lampadina: Tatiana! Anche l’unico messaggio che avevo scambiato con lei risaliva alla sera dell’8 gennaio e avevamo appuntamento per la mattina del 9, quindi o io non ero mai arrivata da lei, o lei si trovava in auto con me, ma che io ricordassi nessun operatore sanitario mi aveva parlato di lei … Tatiana e Marco erano il mio gancio con il passato e stava a me decidere cosa volevo fare.