Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

NEUROLOVER

di Massimo Maresca

Glielo ripeto: all’inizio ci sembrava una figata pazzesca. E non mi riferisco né all’analisi di compatibilità né all’operazione sottocutanea. Quelle le ho fatte a cinque anni, quindi cosa diavolo potrei ricordare! So che i miei accettarono l’intervento perché il Governo Europeo mi avrebbe garantito un’esenzione fiscale a vita del 30% su ogni forma di tassazione, e a loro sembrò una cosa buona. E se devo essere obiettiva, col tempo ho imparato a capirne l’importanza, non solo per via delle tasse. Monitoraggio continuo delle funzioni vitali, analisi del livello di tossicità ematica con presenza virale o batterica, screening lipidico e glucidico ogni 6 ore, verifica della riproduzione cellullare total body una volta al mese. Tanta roba, dottore, considerando che sessant’anni fa vivevano come le farfalle (COVID-19 docet!).
Pensi che una volta - potevo avere 15 anni - la Gendarmeria Sanitaria mi ha confiscato nell’anfiteatro della scuola terziaria di primo grado. C’era una grande manifestazione in diretta quantica con i nostri astronauti sbarcati su Marte, mi pare avrebbero dovuto apporre la bandiera della nazione europea. Insomma, il neurochip aveva vibrato e questi della Gendarmeria erano arrivati per prelevarmi con la capsula in fibra. Il motivo? Nel mio sangue il marcatore CA125 era in aumento e stava per formarsi un carcinoma all’ovaio. Il neurochip aveva inviato l’informazione al Sistema Sanitario Centrale e io mi ero ritrovata, dopo il trasporto in idronatante, all’ospedale sottomarino, dove mi avevano piazzato nel tubo della terapia a onde d’urto e nel giro di 40 minuti ero stata riportata a scuola, giusto in tempo per vedere l’asta sprofondare nel rosso marziano. Fico, eh!
Per cui quando le dico che all’inizio ci sembrava una cosa pazzesca, non esagero. Davvero Mirko ed io pensavamo che sarebbe stato divertente. Siamo stati insieme cinque anni. Prima di me stava con un’opportunista che l’aveva lasciato per uno che vende giocattoli (in effetti Mirko da quando lo conosco li ha sempre odiati…). Però, dopo cinque anni insieme, ci voleva una svolta, ma il neurochip diceva che non era ancora il momento di concepire. Per cui, quando lanciarono la campagna dell’app Neurolover, “Non ti sedare ma lasciati trasportare!”, gli dissi: «Wow, Mirko! È una flashata pazzesca!». Nello store l’applicazione risultava sperimentale, approvata dall’SSC (perché basata sulle 27 emo dell’Accademia Nazionale delle Scienze) e ideale per le coppie stabili: in poche parole l’uno avrebbe sentito le emozioni dell’altro. Ecco perché un weekend di giugno la installammo.
Se non la si prova, non si capisce. Ti apre un mondo, dottore, e non esagero. Lasciamo stare il fatto che il sesso diventa una danza perfetta, non rischi mai di infastidire o forzare il partner e sai quando, come e cosa fare. Lo sai perché lo senti. Ma ad aprirsi è il mondo del quotidiano. Ogni parola, sguardo, palpito. Ogni pensiero dell’altro diventa emozione e tu la senti, la capisci e la comprendi. E, se la comprendi, la provi anche tu. Questo è il punto.
Topolino faceva 180 anni e cominciarono a spuntare come la parietaria pupazzi sintetizzati in ogni angolo della città e, come tutti del resto, anche io mi feci trasportare dalla voglia di comprarne uno. Quel giorno facevamo due anni di matrimonio e mi sembrò divertente la sera regalarglielo. Grande quanto il mio avambraccio, dottore. Niente di che; né piccolo, né grande. Il giusto. Il neurochip mi faceva sentire che Mirko era calmo e tendeva all’eccitazione (non quella sessuale). Era contento di tornare a casa, perché chissà quale sorpresa aveva in serbo per me, pensavo. Aprì la porta, appese il giubbotto e si bloccò. Il Topolino sorridente lo guardava vitreo dal tavolino d’ingresso dove l’avevo poggiato. E Mirko - glielo garantisco, dottore - per un attimo non sentì niente. Nessuna emozione. Poi, come quelle pentole a pressione che si usavano all’inizio del secolo, cominciò a fischiare. Io mi ero nascosta dietro l’armadietto a muro del corridoio. Di certo lui poteva sentire la mia ansia e il mio imbarazzo giocare con una pallina di amore romantico. Se non fosse stato per Neurolover manco me ne sarei accorta, tanto ero presa da me stessa. Ma dietro quel fischio si nascondeva una rabbia mai sentita in lui. E più cresceva, più la sentivo. Era come la bocca dello stomaco che si fionda sul cuore e cerca di sedarlo. E il cuore pompa, si agita, pulsa. All’impazzata.
Uscii dall’armadietto, gli dissi di calmarsi e gli chiesi del perché di quella rabbia che non c’entrava. Mi sentivo ferita e dei lacrimoni caldi cominciarono a inumidirmi la faccia. Mirko non mi parlava, non mi guardava e più si agitava, io più mi agitavo. Non ero in grado di controllarmi e non capivo il perché. La sua rabbia montava come l’albume nella frusta bionica. L’alterazione lo fece diventare rosso e io con lui. Il chip cominciò a vibrare: accelerazione del battito cardiaco, aumento della tensione muscolare, iper-sudorazione. Ecco perché, quando scappò in cucina, l’unico pensiero fu quello di togliergli il neurochip. La vedevo come unica soluzione per bloccare quel continuo flusso emotivo che mi stava, che ci stava devastando e ci impediva di comunicare. Sapevo che lo teneva impiantato nel trapezio, vicino al collo. Quando mi avvicinai per farlo, il coltello scivolò sulla carotide, tranciandola di netto. E mentre il suo sangue mi scottava le mani e gli operatori dell’SSC entravano in casa per confiscarmi nella fibra, pensai che, per quanto potessimo sentire le emozioni altrui, nessuno avrebbe mai potuto capirle.
Per questo dico che si sbaglia quando mi accusa di omicidio passionale. Capisce, commissario? È vero, adesso le emozioni di Mirko non le sento più. Come potrei… almeno concorderà con me sul fatto che la sua morte è stata accidentale, come un drone postale che ti cade in testa.
Che poi, commissario, mica l’ho capito il motivo di tanta rabbia…

 

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