Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
Il Fiore Di Cicoria
di Mago Woland
Notte insignificante, come mille altre breve per quei poveri stanchi tutti assopiti nel tepore di piumini e trapunte, in profondi sonni, dai sogni cullati e talvolta scossi. Una volta svegli della notte non avranno che un ricordo del buono e talvolta del pessimo riposo. Notte insulsa per altri febbrili insonni, appannaggio di tormenti, certamente lunga, più lunga di qualsiasi altra per il piccolo Póz, che tra le altre veglie notturne, la sua non giunge per scelta. L’imprevisto appare su un foglio di carta, e a malapena una riga d’inchiostro: ´´la felicità è in un fiore di cicoria.``
Dell’imprevisto Póz non ne ha grande esperienza, specialmente nelle ore in cui si dorme. Era già successo con il mal di pancia, la febbre, molte volte il gatto affamato, che si svegliasse durante la notte; null’altro destava attenzione, e con piacere o con fatica ritrovava la via del sonno. La notte, che luogo strano. Póz guarda alla notte come un cambio di guardia tra luce e buio, piuttosto del tempo che passa; nero caduto sul mondo e con esso la sua piccola casa, gli alberi, le colline e il cielo. Tra gli amici di Póz c’è chi crede, come lui, che ogni cosa abbia una vita, che sia una scarpa o sassolino. Una teoria tanto semplice, ma come tante ovvietà scientifiche, la gravità o il volo, questa animistica teoria della vita è tanto banale quanto difficile da capirne la prova. Il buio stesso è vivo, ma Póz non rabbrividisce all’oscurità come alcuni suoi amici. Ha paura di molte cose e nel tempo ne avrà sempre di più da domare, ma non paura della notte.
In quelle rare notti di sonni interrotti, prima di infilarsi di nuovo sotto le coperte, dava uno sguardo fuggevole fuori della finestra, ma nulla più che un cortile, una casa a due piani e un morso di cielo. Finestre serrate e piante mute: tutto pedissequamente al suo posto.
Il gelo s’è espanso, dai camini arabesche fumate, la luna ricopre tutto d’argento nella notte più bizzarra del piccolo Póz. Se non fosse stato per quel foglio che sbatteva molesto sulle inferriate, sospinto dal vento, forte abbastanza per destarlo. Póz recupera il foglio prima che potesse sfuggirgli e legge la frase tanto breve quanto risolutiva. Chi ha scritto questo? S’è scritto da solo? Non è possibile, pensa Póz, il foglio è stato strappato da un quaderno, qualcuno deve aver avuto la forza di farlo.
Un’oscura figura rivolta verso Póz, affacciato alla finestra della casa difronte al piano superiore. Lì credevo non ci abitasse nessuno, riflette. Un baluginare di fuoco, non di una piccola candela, riflette i suoi fluidi ideogrammi sulla parete dietro l’oscura figura. Póz non riesce a dir nulla che la figura rientra di scatto e al suo posto inizia a fuoriuscire fumo. Póz non ha mai visto nessuno affacciarsi lì, né di giorno né di notte. Adele e Parisio lo sanno? la coppia di anziani del piano inferiore.
Da alcune settimane Parisio non si vede uscire per le sue passeggiate e Adele nei pomeriggi di sole, di quando in quando anche in giornate coperte e fredde, se ne sta seduta tristemente, come appassita, neghittosa a fissare il vuoto. Una donna sempre operosa agli occhi di Póz, che invero considera strano vederla perdere i suoi giorni in quel modo. Tutte quelle faccende e piante da innaffiare, chi se ne occupa? Per mangiare? Per lei cucinerà Parisio, auspica Póz.
In verità Adele soffre la perdita del defunto marito dopo cinquantadue anni di vita insieme. S’è lasciata prendere dallo sconforto, riducendosi ad assenza, rinunciando al cibo, affermando di star bene alle telefonate degli affabili amici e parenti. Ma questo Póz non può saperlo. Il padre avrebbe voluto dirglielo durante una cena, ma il caso arrise alla volontà opposta della madre che non avrebbe mai svelato a un bambino l’assurdità della morte, tanto meno con la morte indesiderata di uno sventurato vicino. Gli intenti del padre vennero interrotti dal disgusto di Póz che trovò un capello nella zuppa di lenticchie, con sollievo della madre. Póz, senza saperlo, evitò quell’informazione, e il dubbio sulla signora Adele non poté che svilupparsi sotto un’altra luce. Come può una piccola cosa cambiare le sorti di una vita intera? pensava il padre, rimuginando sul capello. Adele è triste in modo insensato per Póz; molti sono stati i tentativi per risollevarla. Adele prestava attenzione al piccolo Póz, il quale intrepido declamava semplici motivazioni per essere felici, per poi afflosciarsi di nuovo nella sua triste posa. Adele non è felice se un coniglio saltella, o se i cirri si intrecciano in forme bizzarre. Non sarebbe felice per niente al mondo. Dov’è la felicità per Adele? pensava compito e affranto Póz.
Póz si è sforzato di comprendere come un fiore di cicoria possa regalare felicità: perché questo fiore e non tutti? non ne viene a capo, nonostante i crescenti dubbi. Il giorno dopo Póz si presenta da Adele con un fiore di cicoria selvatica. Questa stranita dal gesto, gelata in una dolce smorfia, accenna un sorriso, spento con la stessa rapidità con cui si accende l’ira, scacciando con grida il bambino. In lacrime Póz corre via e Adele, già risentita, raccoglie il fiore caduto: Che ne sa di Parisio che raccoglieva cicoria dai bordi delle strade?
Quelle grida non sono passate inosservate al giovane grafomane che nella penombra si arrovella per scrivere una lettera di condoglianze alla vedova Adele. Scrive, legge e getta nel fuoco. La sua timidezza è tale da non essere riuscito ad accomiatarsi dalla scrittura di qualche riga di conforto; ma dopo aver visto il fiore nelle mani di Adele comprende il gesto di quel bimbo.
Póz, più tardi, sarà rallegrato nel vedere il fusto del fiore ritto in un vaso lì dove sedeva Adele; alzerà lo sguardo e vedrà una finestra aperta non più solo per far uscire fumo, ma per rallegrarmi di questa splendida giornata in cui Póz, grazie a questa lettera, avrà capito che è stato capace di lenire due paure.
Il giovane grafomane, o vicino,
Filippo
P.S. Non arrabbiarti per le parti inventate. Quando potrò conoscerti, eroe?
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