Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
Casa è in ogni tuo abbraccio
di Valeria Frattari
Seduta su una rigida sedia in ferro, stende le braccia e con le dita tamburella la melodia che ha in testa dalla sera prima sulla superficie fredda del tavolino, mentre i polpastrelli incontrano i granelli di zucchero che qualche cliente sbadato ha rovesciato poco prima del suo arrivo.
Poi d’improvviso si ferma, prende un profondo respiro e chiude gli occhi. Un cucchiaino tintinna ripetutamente contro la parete di una tazzina mentre un uomo ringrazia in una lingua sconosciuta. La radio passa l’ultima canzone di un noto gruppo pop e una donna seduta alle sue spalle la canticchia a bassa voce. Due bambini ridono e battono le mani sempre più velocemente al ritmo di una filastrocca che ricorda anche lei di aver cantato nel cortile polveroso dell’oratorio tanti anni prima.
Un fragore di vetri infranti la riporta al presente e la fa sobbalzare. Margherita apre gli occhi e si guarda intorno. La donna ha smesso di canticchiare e le mani dei due bambini ora sono abbandonate sulle gambe mentre, con la bocca spalancata, fissano il bancone del bar. Il barista recupera rapidamente la scopa, raggiunge il cliente colpevole e inizia a raccogliere i resti del bicchiere. L’uomo, visibilmente imbarazzato, non smette di muovere le mani e chiedere scusa in un inglese un po’ incerto. «E che sarà mai, don’t worry mate!» esclama il barista e avvicinandosi gli dà una pacca amichevole sulla spalla, «non ci crederai, ma in quel periodo lì anche il rumore dei cocci rotti mi era mancato» aggiunge poi con un grande sorriso. L’uomo sorride di rimando, gli stringe la mano mormorando un timido «thank you» e si allontana verso i binari.
Quel periodo lì. Non è servito aggiungere altro per far sì che tutti gli avventori del bar della stazione annuissero all’unisono. Anche Margherita si ritrova ad annuire e la mente vola a quei giorni infiniti, tutti uguali, pieni di videochiamate con colleghi ed amici, serie tv e yoga in salotto.
L’annuncio gracchiante di un treno in arrivo la scuote dai suoi pensieri. Lancia uno sguardo all’orologio, poi si alza, afferra la valigia gialla e si incammina verso il binario 15.
Ventidue mesi e tredici giorni, tanto è passato dall’ultima volta in cui ha calpestato nel senso inverso quello stesso identico tragitto: con l’inseparabile valigia e gli occhi pieni di curiosità si apprestava a vivere per la prima volta in una città nuova, ancora ignara dell’evento epocale che aspettava lei e il resto del mondo. Pochi giorni di aperitivi e passeggiate, poi la preoccupazione crescente, i pianti solitari nel piccolo monolocale, il cuore che a poco a poco si fa più pesante. Passano giorni, settimane, mesi in cui Margherita fa i conti con le proprie fragilità e con il senso di solitudine che nessuna chiamata con gli affetti di sempre riesce mai davvero ad alleviare.
Ed ora eccola di nuovo lì, ferma davanti alla sua carrozza, con il cuore che è tornato a farsi leggero e il sorriso che stavolta non è più celato da un rettangolo di stoffa azzurro.
Sale a bordo. Molti dei sedili sono già occupati, ma questo non la disturba, oggi è piacevole ascoltare il vociare degli altri passeggeri. Sceglie un posto di fronte a due donne impegnate in una fitta conversazione. Quando la vedono, si interrompono e le sorridono. Margherita nota che hanno gli stessi luminosi occhi verdi e, considerando l’evidente differenza d’età, suppone che siano madre e figlia. Le saluta con un educato «buongiorno», sistema il bagaglio, si siede ed estrae dalla borsa che ha in grembo l’ultimo libro del suo autore preferito. Osserva la copertina per qualche secondo, percorre con le dita ogni lettera in rilievo, poi alza lo sguardo sulle due donne. No, oggi non ha voglia di immergersi nella lettura, il silenzio l’ha già circondata per troppo tempo. Ripone il libro nella borsa, si schiarisce la voce con un lieve colpo di tosse e timidamente cerca di iniziare una conversazione con le due viaggiatrici. Anna, la figlia, le racconta che sono in viaggio per raggiungere suo fratello che non vedono da mesi e che è appena diventato papà per la seconda volta. A quelle parole Carmela, di nuovo nonna, sorride con gli occhi e le mani le tremano dall’emozione. Poi è il turno di Margherita che racconta del lavoro e degli affetti che finalmente sta per riabbracciare. Mentre il paesaggio urbano fuori dal finestrino lascia il posto alla campagna, le tre donne continuano a ridere e a scambiarsi aneddoti sul periodo passato tra le quattro mura domestiche.
L’altoparlante annuncia la fermata di Anna e Carmela. Le due donne si alzano e prima di avviarsi stringono forte le mani di Margherita. «Decisamente meglio di un saluto con il gomito!» esclama Carmela prima di darle un buffetto sulla guancia e dirigersi allegramente verso l’uscita.
Il treno lascia la stazione e Margherita, rimasta sola, si volta verso il finestrino. Il paesaggio ora le è familiare. D’improvviso la parete di una galleria lo nasconde e si ritrova a fissare il proprio riflesso, occhi vispi e capelli fuori posto. Ed ecco che il suo volto non c’è più, sostituito dall’immensità del mare calmo che sembra sussurrarle «va tutto bene, sei a casa».
Pochi minuti e il treno inizia a rallentare dolcemente fino a fermarsi. La stazione del paese è piccola e solo pochi metri separano il binario dall’uscita. Margherita li percorre quasi correndo, mentre le ruote della valigia risuonano nel piccolo atrio ristrutturato. Sulla parete esterna qualcuno ha lasciato affisso un cartello che invita a mantenere la distanza di sicurezza di almeno 1 metro, Margherita lo guarda e sorride. Poi alza lo sguardo e la vede. Ferma dall’altro lato della strada, a due passi dalla spiaggia, c’è nonna Lucia. Il cuore prende a battere all’impazzata. Corre. Piange. È tra le sue braccia. La stringe forte, per tutti quei ventidue mesi in cui sono state lontane. L’odore di salsedine le riempie le narici mentre la nonna la culla dolcemente tra le braccia e le sussurra tra i capelli «va tutto bene, sei a casa».