Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
La casa vuota
di Monica Spigariol
Mi lascio alle spalle la stanza con gli scatoloni.
È quasi ora di pranzo. Sfioro la porta a vetri che raramente è stata chiusa ed entro in cucina. Mi sento al mio posto: pochi metri quadrati, pieni di mobili e oggetti, ma sono miei. Stendo il braccio destro e prendo il grembiule; me lo infilo quasi senza guardarlo, poi mi rendo conto che è quello rosso con i pallini neri.
-Coccinella! Coccinella! - mi risuona in testa la voce di Allegra piccola, che adorava quando indossavo questo grembiule.
Scaccio il pensiero: devo cucinare.
Prendo la solita pentola, la riempio d’acqua e la metto sul fornello, poi giro la manopola del gas, che con un paio di zick zick, fa divampare la fiamma blu. Abbasso un po’, perché al massimo mi rovina la pentola.
“Pasta cucino la pasta, ma con che sugo?”
Ho il mio menù settimanale (lunedì ragù, martedì pesto, mercoledì riso coi piselli…), ma non è una giornata normale, non è una settimana come le altre.
Sospiro aprendo il frigo. È vuoto come raramente è successo.
Prendo la salsa di pomodoro e il culetto del pezzo di guanciale, comprato troppo tempo fa.
Lo taglio a cubetti, ma vedo solo scatoloni. Mi morsico il labbro senza accorgermene: odio i cambiamenti, ma non potevo più rimandare.
Padella, olio e di nuovo lo zick zick tanto familiare. Aggiungo i dadini. Tra un po’ sfrigoleranno, adoro quel rumore leggero e scoppiettante.
“Manca la verdura, mangio sempre la verdura prima di ogni pasto, ma dove ho la testa…”
Riapro il frigo, qualche carota misericordiosa è rimasta nel cassetto. Mi immergo a tagliare, ho cinquant’anni, un filo d’olio, un pizzico di sale, ho cinquant’anni domani, alzo il fuoco, no l’abbasso, oddio si è bruciato? No, salvato in tempo.
Ho cinquant’anni domani e una casa svuotata.
Dlin dlon.
Il campanello.
Sto per pulirmi le mani sul grembiule, ma mi fermo: non lo voglio sporcare, mi ricorda troppo Allegra.
Prendo un canovaccio, mi pulisco le mani in fretta e male e vado ad aprire.
-Ciao Anna! - mi saluta Giorgio.
-Ciao, grazie di essere qui!
Giorgio mi sorride, triste: -Puoi contare su di me.
-Entra, gli scatoloni sono in camera. Mangi con me?
Giorgio mi osserva un momento, non sa come rispondermi.
-Oh, non preoccuparti se non puoi...
-Hai cucinato troppo? - mi chiede.
Spalanco gli occhi.
“Ho cucinato troppo?”
Non so cosa rispondere.
Giorgio infila la testa in cucina, sfiora la mia porta in vetro mai chiusa e dice: -Be’, il sugo basta per tre persone direi...
Porto la mano tremante sulla fronte e sento le gambe cedere. Giorgio corre da me e mi accompagna sul divano.
-Su, Anna, non ti preoccupare. È l’abitudine.
Mi si riempiono gli occhi di lacrime, ma non voglio piangere.
-Vedrai, - continua -ti adatterai presto.
“A cucinare solo per me?”, penso, ma non riesco a dirlo, è troppo triste. -L’acqua bolle. - dico invece.
-Vado io, - replica subito Giorgio -così metto pasta per due.
Due.
Non siamo in due, sono solo io. Sono una.
Mi accarezzo di nuovo il grembiule che mia figlia amava. “Non lo vedrà mai più.”, penso.
Una lacrima ruzzola giù indesiderata, ma l’asciugo subito.
Alzo lo sguardo, ma attorno a me vedo solo oggetti che mi fanno male.
-Fatto! Dodici minuti ed è pronta!
-Ho paura. - sussurro, senza volerlo davvero. Le parole mi scappano fuori.
Giorgio deglutisce: -È normale. È cambiato tutto all’improvviso.
-Ho perso tutto. - Le lacrime, questa volta, non riesco a fermarle. Ma sono leggere.
-Non hai perso tutto. Ci sei ancora tu. Tu e tanti amici che ti vogliono bene. Hai la casa, hai la macchina...
Lo guardo, deglutisco. -Sai, mi fanno paura le cose.
-Le cose?
Annuisco. Mi sento improvvisamente una centenaria.
-Sì, le cose Giorgio. Le cose… le cose del dopo. Le cose del dopo incidente.
Anche Giorgio osserva la casa come se la vedesse per la prima volta.
-Perché ogni cosa è un ricordo?
Faccio sì con la testa.
Giorgio incrocia le braccia al petto.
Osserviamo insieme il soggiorno, mentre i rumori che arrivano dalla cucina sembrano pezzi di un mondo alieno.
-Secondo me adesso ti fanno paura, - inizia all’improvviso Giorgio -ma un giorno le cose che hai deciso di tenere le amerai.
Giro il viso su di lui, non capisco.
-Adesso ti fa tutto male, ma quando starai un po’ meglio, questa casa sarà il tuo calore, sarà il tuo passato da conservare, il tuo presente da proteggere e il tuo futuro da inventare. Anna, hai ancora un futuro. Non come lo avevi immaginato, ma c’è e questi oggetti ti aiuteranno a crearne uno, senza dimenticare chi sei.
“Impossibile.”, penso.
-Le cose del dopo ti aiuteranno. Vedi quelle tazzine? Cosa ti fanno venire in mente?
-Non saprei...
-Prova!
-Un caffè bevuto con Allegra qualche giorno fa. - Mi asciugo le guance, ma una lacrima si allarga sul mio indice.
-Ecco, questo è un ricordo che ti fa male, perché Allegra non c’è più... ma non le vuoi buttare via, no?
-Be’, no… - dico -Sono belle...
-Ottimo! - Giorgio si batte una mano sul ginocchio -Oggi ci berremo il caffè io e te, con quelle tazzine. Se domani viene a trovarti un’amica, le userai di nuovo. Così diventeranno le tazzine per gli amici. Questo è il dopo che devi cercare, che devi costruire, Anna.
Chiudo e apro le palpebre. Non riesco a vederlo questo futuro.
-La pasta. - sussurro.
-La pasta! Vado! - Giorgio si alza e poi si ferma: -Quello no però.
Lo guardo perplessa.
-Il cibo. Ecco, di quello non te ne serve tanto per il dopo. Se esageri, che te ne fai? Apri una mensa per i poveri?
Rido.
Mi alzo a fatica, però sto ringiovanendo: mi sento ottant’anni. Stendo la tovaglia, prendo le posate. Mi tremano le mani. Ne ho troppe: per Allegra, per Mario, per me. Poso una forchetta e un coltello, non siamo più in tre.
“Sarà difficile abituarsi.”, penso.
Alzo il volto verso la cristalliera, per non piangere, e vedo i bicchieri regalati alle nozze. Ne afferro due d’impulso e li metto in tavola.
Non li ho mai usati.
“Che anche voi abbiate un dopo.”, penso.
Stringo i pugni: “Sono Anna, avrò cinquant’anni domani e una casa mezza vuota.”
-Anna, i piatti?
-Arrivo!
Rilasso i pugni. “L’altra mezza la riempirò."