Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Inquieta prima della tempesta

di Cris

Il venerdì è il giorno della settimana che preferisco. Fine degli impegni lavorativi e preludio di giornate in divenire, tutte ancora da decidere e da fare. Torno a casa da lavoro, lascio l'armamentario, appronto un pranzo, guardo il telegiornale. La serenità dell’inizio del riposo comincia a scemare. Non è poi così confortante tutto quello che ascolto: morti, feriti, imprigionati per aver dato voce ai propri liberi pensieri, vittime di un processo sbagliato, corruzione, povertà dilagante. Alla fine, ma sempre soltanto sul finire, resiste un po’ di speranza in sparute notizie buttate lì alla rinfusa. Notizie che parlano di giovani che realizzano grandi progetti per un futuro migliore su questo pianeta, nuove scoperte scientifiche, messaggi di pace, amore e fantasia. Spengo la TV, resto un momento a pensare, ne parlo con mio marito che mi accende ancor di più la riflessione. Lui sa già, per un’abitudine consolidata ormai, che sto per godermi il mio pomeriggio di solitudine. Mi sorride, lo saluto. Felpa, cappello, scarpe da tennis. Esco. Chiudo rapidamente la porta. Scendo giù per le scale, quei pochi gradini che mi separano dalla serenità. Guardo il cielo, è gonfio di nubi cariche di pioggia. Nonostante i cattivi presagi metereologici, decido che oggi, comunque, mi dedicherò questo mio momento per respirare a pieni polmoni tutta l'aria che c’è. Così inforco la mia bicicletta da passeggio, rigorosamente attrezzata con cestino e campanello, e mi dirigo verso il lungomare. Non mi è mai piaciuto correre, ma pedalare sì. Non che io possa considerarmi una velocista, tutto il contrario. Però è come se ogni movimento fluido di piede, caviglia, ginocchio, anca accompagnasse e desse forma ai mei caotici pensieri. Non avevo mai vissuto al mare prima d'ora, tuttavia mi sembra quasi di averlo sempre avuto vicino a me. Una specie di posto del cuore. Il mare, unito alla pedalata andante, mi schiarisce le idee, mette in ordine le tracce scomposte che l’incessante scorrere del tempo mi lascia dentro, ogni giorno. Il tempo ha la sua cifra dominante nell’incontrollabilità. Ci affanniamo a trattenerlo, a contrastarne il flusso ma inevitabilmente questo ci travolge, senza bussare. È giusto, penso mentre pedalo con cadenza ritmica e precisa. Il divenire è necessità, ce lo dice da sempre il bozzolo del baco da seta nel suo inesorabile destino di farfalla. Soltanto lasciandoci travolgere diamo al nostro futuro la possibilità di smettere di essere tale per farsi presente. Pedalo e penso, penso e pedalo. Credo che stia proprio nel suo essere incerto il fascino del domani, un destino che attrae e al contempo diventa disturbante. Nell’incertezza risiedono milioni di possibili realtà. Nel futuro posso essere ciò che preferisco. È una storia tutta ancora da decidere. Continuo a pedalare e a respirare a pieni polmoni l’aria umida e salmastra. Qualche goccia comincia una piccola danza ticchettante. Travolgere, però, non so se sia la parola giusta da utilizzare, penso. Travolgere implica distruzione di ciò che c’è, schiacciare, far cedere qualcosa con grande violenza. Le cose di dopo non sono necessariamente frutto di una forza esterna dirompente e sconvolgente. Aumento il ritmo della mia andatura che comincia a rallentare sotto il peso delle mie riflessioni. Le gocce di pioggia scendono giù sempre meno incerte. Le cose che verranno, mi dico, sono anche ciò che decidiamo di far accadere. La me di oggi è l’atto compiuto di quanto, in potenza, ho deciso di essere negli anni addietro, condita da un pizzico (forse molto più di un pizzico) di imprevisto. E quindi, quello che c’è ora è già il futuro di ciò che è stato. Sto esagerando, pensieri troppo complessi e contorti, mi dico. Continuo a pedalare. Provo ad essere più realista. Cose che decidiamo di far accadere. Bene. Così facile potrebbe essere allora mettere a posto tutto quanto. Decidiamo che avremo il mondo che desideriamo, che tutte le notizie di ogni giorno, morti, feriti, imprigionati per aver dato voce ai propri liberi pensieri, vittime di un processo sbagliato, corruzione, povertà dilagante saranno soltanto un terribile ricordo. Qual è il peso delle nostre scelte nelle cose che verranno? Soprattutto qual è il peso che scegliamo di avere nelle cose che verranno? La pioggia scende sempre più decisa. È forse il caso di tornare indietro. Tornare indietro oppure andare avanti? Il coraggio delle scelte sta anche nello sfidare la tempesta che verrà. Piove, mi volto verso la spiaggia, guardo le gocce che cadono in mare. Il vento spira con maggiore forza, resisto, pedalo con vigore. Torno indietro? Vado avanti? Non importa, ciò che conta è che, in ogni caso, attraversando la tempesta, ne uscirò. E alla fine non sarò più quella di prima.

 

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