Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
La carne
di Lucida Shore
Ettore entrò nell’androne ansimando, appesantito dal peso legato in vita. Non era solo la fatica ad affannarlo: non era un peso tale da metterlo a dura prova. Riguardo al peso dell’ansia, invece, il discorso era tutt’altro. Salì i gradini fino all’appartamento. Gli altri sarebbero arrivati qualche ora più tardi, alla spicciolata. Bussò rapido e si insinuò all’interno.
Non era la prima volta che lo facevano, e si credeva al sicuro. Per questo arrivò a tirare fuori l’involto prima di accorgersi che la stanza alle sue spalle era piena di poliziotti.
“Il signor Ettore Borghi, giornalaio?” chiese asettico uno di loro.
Ettore pensò di scappare, di voltarsi e darsi a una fuga disperata, ma sapeva che per lui era finita in ogni caso.
“Sono io” ammise, rassegnato.
Uno degli agenti aprì l’involto, e la carne, rossa e venata di bianco, fece capolino. Tutti loro la guardarono disgustati. Ettore sapeva bene quale sarebbe stato il prezzo da pagare nel caso l’avessero scoperto, e ora provava pena per se stesso. Si lasciò ammanettare e scortare fino al furgone con cui erano venuti, senza opporre alcuna resistenza.
Salì e si sedette, con le mani legate, fra due agenti che guardavano fissi dinanzi a loro. Non c’era nulla sulla parete opposta, nemmeno un finestrino, ma loro la fissavano comunque.
Il viaggio fu breve. La medesima formazione di agenti lo scortò fino a una stanza nella stazione di polizia, e solo allora si degnarono di rivolgergli di nuovo la parola.
“Ettore Borghi, lei è stato arrestato per possesso di carne naturale. Conferma che è naturale?”
La carne sarebbe stata analizzata, era inutile mentire.
“Sì, lo è.”
“Era a conoscenza delle leggi sulla detenzione, il consumo e il commercio di carne naturale?”
Era una domanda di rito. Quelle leggi e la loro origine venivano spiegate fin dal primo ciclo scolastico da almeno quarant’anni.
“Si, lo sono.”
“Per il bene della società, ci dica chi avrebbe dovuto consumare la carne con lei. Ciò non comporterà alcuno sconto di pena, ma diminuirà il suo debito nei confronti della società.”
Altra formula di rito. In fondo sapevano che non avrebbe detto nulla. Non era necessario, di certo altri agenti stavano aspettando nell’appartamento. Scosse il capo, e l’altro prese atto con una smorfia.
“Le verrà fornito un pasto e verrà assegnato ad un Indagatore” disse ancora, prima di chiudere la porta e lasciarlo solo.
Ettore si mise comodo. Uno dei pochi vantaggi della società moderna era quello di una giustizia rapida e assiomatica. Dopo la semplificazione delle leggi, ciò che un tempo era il processo era stato sostituito da una sorta di questionario, somministrato da un Indagatore. Seguiva la pena o il rilascio, come previsto.
Tutto ciò sarebbe stato consolante, non fosse stato che la pena prevista nel suo caso era la morte. Non una morte crudele, di certo avrebbe sofferto molto di più con una morte naturale. Il fatto, però, era seccante: morire per un pranzo, che ridicolaggine.
Ai vecchi tempi non sarebbe accaduto. Del resto, ai vecchi tempi si poteva entrare in qualsiasi ristorante e ordinare una bistecca, senza che nessuno ci facesse caso. Ai vecchi tempi c’erano ancora crimine, arrivismo e un sacco di altri problemi, ma ciascuno poteva mangiare quel che voleva.
Invece, nell’ultimo anno dell’era precedente, un bambino se ne era uscito con la ferma convinzione di essere un defunto presidente degli Stati Uniti. Tutti avevano prima riso, e poi seguito con interesse la vicenda sui giornali, fino al momento in cui il piccolo, di sei anni, aveva iniziato a snocciolare al pubblico attonito informazioni a cui perfino alcuni esponenti del governo non avevano accesso. Venne indetta un’inchiesta, le sue affermazioni furono verificate. Si scoprì, in breve, che la reincarnazione era non solo reale, ma anche la norma. Nel giro di pochi anni l’aldilà venne analizzato come un qualsiasi fenomeno fisico, e fu scoperto il modo per ricordare ogni altra vita vissuta. In molti ricordarono di essere stati animali, e questo scosse le coscienze del mondo intero: mangiare un animale, senza sapere se si stavano affondando i denti in un caro estinto, risultava immorale.
La scoperta aveva creato un crollo del sistema capitalista, e con esso della criminalità. Affannarsi per beni materiali, quando si era immortali, pareva inutile. Di lì alla semplificazione delle leggi il passo era stato breve.
La porta si aprì, ed entrò l’Indagatore insieme al suo pasto. C’era anche una tazza di caffè caldo, notò con piacere. L’Indagatore, un ometto sottile, si sedette e gli indicò il vassoio.
“Non faccia complimenti, si raffredda tutto” gli disse, con un mezzo sorriso “Può rispondere mentre mangia, sono domande facili.”
Ettore ne fu felice. Aveva fame.
“Lei è Ettore Borghi, giornalaio?” Iniziò.
“Si.”
“La carne che hanno rinvenuto sulla sua persona era di sua proprietà?”
Ettore confermò.
“Voleva consumarla come cibo?”
Confermò ancora.
“Aveva già compiuto questo atto, o atti simili, in precedenza?”
“Direi tre o quattro volte” gli rispose.
“Ha partecipato attivamente all’uccisione dell’animale?” chiese l’Indagatore.
“No, mai.”
“E ora: a chi desidera lasciare la sua carne?”
Era l’unico vantaggio di una condanna a morte, il diritto di disporre del proprio corpo affinché la carne venisse consumata come cibo. Ettore ci pensò su, mentre masticava un pezzo di pane.
“Sarei felice che andasse ai carnivori del bioparco” disse poi. “Credo che la preferiscano alla carne sintetica.”
Sorrise. Sfamare una tigre o un leone era una bella fine. L’indagatore si sporse in avanti con aria nervosa.
“Vorrebbe lasciarne almeno una parte al personale giudiziario che si è occupato di lei?”
Ettore lo fissò.
“Sa com’è, lo fanno in molti. A noi fa piacere” ammise.
Ettore non potè trattenere una risata.
“Ma sì, facciamo metà a voi e metà agli animali!”
“Troppo generoso!” tubò l’Indagatore.
Ettore sorrise ancora. Ecco perché gli agenti erano tanto disgustati dalla carne che avevano trovato su di lui: era carne di animale.