Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
Il mondo all'angolo
di Sara Del Vecchio
È quasi l’alba e Adham viene svegliato dal rumore dei trolley che impazzano nel sottopassaggio della stazione di Milano centrale. Partono moltissimi treni al mattino. Mette il naso fuori dalla sua coperta di lana per sentire che aria tira. Un’aria ancora gelida, anche se dovrebbe essere entrata la primavera già da qualche tempo. Decide di riposare un altro po’, almeno fino a quando la solita fiumana di gente non ricomincerà a passargli accanto di corsa, nemmeno stesse partecipando ad una gara. Sono due anni che Adham vive nella stazione di Milano centrale e dopo tutto questo tempo ancora si chiede dove diavolo vadano tutti così di fretta alle prime ore del giorno. Gente che nemmeno lo guarda in faccia. Lui sta lì che osserva di continuo donne e uomini passare, avanti e indietro, avanti e indietro. C’è chi parla al telefono, chi corre col giornale sotto il braccio, chi urla dentro al microfono di un auricolare. Adham sta lì, con un berretto di lana in testa, in mezzo ai suoi stracci e alle quattro cose accumulate nel tempo. Fra queste un piccolo sottovaso verde acceso, dove qualcuno lascia degli spiccioli prima di procedere per la sua strada.
Tutte le sere in stazione arriva Lisa che si occupa delle pulizie nel sottovia. Dalle 21 alle 23 spazza, lava e disinfetta ogni centimetro di corridoio e almeno una volta ogni due giorni costringe Adham ad abbandonare la sua postazione.
Lasciami disinfettare quell’angolo, su! Alzati un attimo e per cortesia spostami quella roba altrimenti come faccio a pulire?!
E quando Lisa comanda non si può che obbedire.
Ogni sera gli porta un po’ di roba da mangiare, pastina in brodo, pane e formaggio o delle verdure lesse. Qualche volta gli lascia una focaccia, così che possa avere qualcosa anche per il pranzo del giorno dopo. Non manca mai di aggiungere tovaglioli e posate, per dare una parvenza di dignità a quei pasti consumati sul pavimento.
La carissima Lisa, è stata lei a raccontare ad Adham un anno e mezzo fa cosa stava accadendo in Italia e nel mondo. All’inizio lui non riusciva a capire. Nel giro di pochi giorni il viavai nella stazione di Milano centrale era triplicato. Centinaia di persone avvolte nei propri giacconi, con sciarpe, cappelli e il volto coperto da fogli di carta camminavano a passo svelto trascinando valigie enormi, quasi di corsa, come se temessero che qualcuno avrebbe potuto impedire loro di salire a bordo di quei treni. Poi, di lì a qualche ora, più niente. Erano sparite anche le voci metalliche che annunciavano arrivi e partenze, in giro si vedevano soltanto i militari dell’esercito. Un silenzio innaturale regnava sovrano, un silenzio che stonava in quel luogo.
Con la chiusura del Paese la gente era ancora più schiva, quei pochi che attraversavano il sottovia lo facevano a testa bassa, persi nei propri pensieri. Camminavano assenti a se stessi e al mondo. Adham era diventato invisibile. Nella scala dell’invisibilità aveva raggiunto il punto più alto. Ognuno era troppo preso a badare al suo dolore per votarsi a sentire quello degli altri. Chiunque faceva i conti con le proprie perdite e i propri timori e non riusciva a prestare orecchio alle mancanze altrui. Lisa, dal canto suo, faceva quel che poteva. Aveva smesso di andare in stazione tutte le sere, il suo orario di lavoro era stato ridotto e doveva recarsi lì solo due giorni a settimana. Arrivava dieci minuti prima per avere il tempo di mostrare ad Adham cosa c’era nelle buste che aveva preparato. Cibo a sufficienza per tre giorni, un po’ di frutta, panini con la frittata, zuppa di legumi e scatolette di carne.
Di solito con gli spiccioli che riusciva a racimolare durante il giorno Adham comprava l’acqua alle macchinette automatiche. Durante i mesi di lockdown però persino raccogliere 50 centesimi era diventata un’impresa. Avrebbe potuto chiedere a Lisa di portargli anche da bere, ma lui non sapeva chiedere, non chiedeva mai niente. Da tempo ormai, tirava a campare grazie alla carità di poche anime buone. Tuttavia, un giorno ha dovuto farlo: ha fermato una signora e ha mendicato aiuto. Erano passate circa dieci ore dall’ultima volta che aveva bevuto un goccio d’acqua, un’arsura tremenda gli stava raschiando la gola, così le ha chiesto una moneta nel suo italiano striminzito, puntando il dito verso il distributore per farsi capire. Non si è avvicinato molto, ma lei lo ha respinto con tono violento. Stammi lontano! Ha urlato senza nemmeno fermarsi ad ascoltare la sua domanda. Ha continuato dritta, con lo sguardo piccato e il passo sostenuto.
È quasi l’alba e Adham viene svegliato dal rumore dei trolley che impazzano nel sottopassaggio della stazione di Milano centrale.
È quasi l’alba e il mondo di dopo è ancora lontano. Le persone faticano a lasciarlo arrivare, non sono pronte. Stanno lì, impegnate a preservare il proprio equilibrio precario a metà fra il baratro e la finzione. Avanzano incerte sul rettilineo di una vita che non concede sconti. Una corsa a ostacoli che talvolta si disvelano dinnanzi ad occhi stanchi. Occhi in grado soltanto di volgere lo sguardo in avanti, sguardo incapace di catturare gli angoli. Sono scomodi da guardare gli angoli, richiedono il sacrificio della distrazione. Sono penosi gli angoli, reclamano la propria svestizione per entrare nei panni altrui. E fanno anche male, gli angoli, incarnano tutta la miseria umana, quella celata sotto gli stracci o nel dolore che non fa rumore. Il mondo nuovo però parte da lì, da quegli angoli che invocano attenzione, che domandano ascolto, che gridano, senza gridare, aiuto.
Il mondo che verrà lo stiamo ancora aspettando.