Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Le regole di domani

di Sonja

Hai sempre avuto paura del buio, dacché mi ricordi, e hai reso schiava anche me del punto luce. Molto spesso, nel farmi il resoconto della giornata, ti capitava di universalizzare l’intimo appellativo “papà” al posto di “tuo nonno” e generavi una confusione profonda tanto che una volta ho creduto che avessero ricoverato mio padre in ospedale per una gastrite acuta. Invece era tuo padre. Hai sempre avuto in bocca il “vocabolario dei figli”.
Poi quando è morto tuo padre, mio nonno, s’è fatta notte fonda.
In quel preciso momento, quando ho ricevuto la telefonata, ho capito che insieme a lui avrei perso anche te. Il fatto era uno: non hai mai smesso di essere una figlia, non sei mai diventata madre e non sei mai stata moglie.
Quando ero più piccola lo sospettavo perché le tue urgenze ,nei miei confronti, erano tutte finalizzate a farmi sopravvivere. E allora lo spiffero, la caduta, la malattia erano le tue uniche preoccupazioni, come se l’essere genitore si risolvesse nel tenere in vita un figlio. Non mi sono mai particolarmente lamentata.
Sono cresciuta in un baleno, le tue apprensioni si sono ispessite e hai iniziato a misurare la mia vita sulla tua. Tipico atteggiamento di “ascoltami, abbi fiducia, sono stata figlia anche io”. Già mamma, il punto è che sei rimasta tale. Non sei mai sgusciata via dal tuo ruolo e il tuo futuro, nel quale la fatalità e la riproduzione hanno coinvolto anche me, è stato un modulo pre-compilato dai tuoi genitori.
Ora che nonno non c’è più non ti ricordi neanche cosa ti è rimasto.
Tutto per te ha un significato provvisorio. Mangiare, dormire, ridere, fare shopping, leggere, starnutire sono solo funzioni biologiche delle quali tra l’altro tocca prendermi cura così come tu hai fatto con me in passato.
Una volta, qualche mese dopo il funerale, ho sentito dire da tua madre, rimasta vedova ad un’età per la quale una mancanza del genere può del resto essere prevista, che non le interessava un fico secco di vivere, che i suoi figli avrebbero vissuto lo stesso e che comunque non era più un suo problema “tanto loro, le famiglie, se l’erano fatte”.
All’inizio mamma, devo dirtelo, ho pensato che mia nonna fosse veramente una stronza. Il suo egoismo era come un cannocchiale puntato nel mio stomaco che spiava tutto il mio disappunto. Più diceva cose del genere e più si accorgeva di quanto fossi contrariata e continuava. Oggi guardando te, stesa sul letto, di domenica mattina, senza alcuna intenzione di partecipare ad alcun episodio familiare, mi accorgo che per diventare un genitore bisogna essere addestrati a tutto, soprattutto a perdere l’idea dei figli.
Non fraintendermi; capisco ogni centimetro della tua sofferenza ma non posso accettarla ancora a lungo.
Ti leggo negli occhi la vacuità; sono due piccoli burroni dentro i quali è impossibile riprodurre più alcuna immagine. Inutile che continui a parlarmi di futuro. Tu non hai la benché minima idea di cosa sia e l’ho capito dopo questo lutto.
I tuoi anni di matrimonio oggi mi sembrano più delle secrezioni del tempo, come se ad un certo punto, fissata una certa età, qualcuno ti abbia indotto a mettere su famiglia senza che neanche tu ne fossi consapevole. Squillata la sveglia della pubertà, è iniziata la conquista del tuo futuro, come se “il domani” fosse una specie di promontorio roccioso da scavallare. Oggi ti aspetti che io faccia lo stesso perché in effetti così ti hanno insegnato, perché tu, da grande, hai smesso di imparare se ad insegnarti le cose non erano i tuoi genitori. Sei stata brava a rispettare le regole. Ora ti giri e rigiri nel letto, butti un’occhiata al cellulare, ti assicuri che l’altro tuo figlio, all’altro capo del mondo, respiri ancora, chiudi il libro, e cadi in letargo.
Ti vedo qui, sparsa tra le lenzuola, senza espressione, sola perché tuo marito ha degli orari e una vita che tu hai smesso di frequentare, e ti vedo orfana benché io sia tua figlia e tu mia madre; è come se dovessi guarire io la tua bua.
Vedi mamma, ti direi che non avresti dovuto costruire una famiglia nella quale non hai mai preso un vero posto e ti direi che non diventerai mai nonna, almeno non per causa mia, così puoi fare finta che il tempo non sia passato, che il tuo papà non ti ha mai perso e che tu non hai mai perso lui.
Mi rimproveri continuamente perché non so ancora cosa voglio fare e il tempo passa e tu pensi di essere ancora costretta a vestire il ruolo della madre premurosa, sempre quella tendenza arcaica, comune anche ai cani, di provvedere ai cuccioli.
Non sono mai stata figlia. Ora arrabbiati pure quando leggerai parole gettate al vento su di te, su di noi, su cosa avremmo potuto essere e non siamo state ma sai mamma, anche io per una volta ho bisogno di sentirmi così come sei sempre stata tu, così ligia al dovere dei figli, e ti ascolto e seguo le tue regole; ho scritto la verità proprio perché sto pensando al mio futuro.

 

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