Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
Il Werden
di Sara Presutti
Questa volta i suoi occhi osservarono con attenzione i segni incerti impressi sulla carta.
L’unto ne aveva sbavato l’inchiostro, facendo sì che i bordi delle linee si allargassero verso l’esterno ma lo schizzo, era ancora leggibile e indicava esattamente quel posto.
Rinfilò la carta nella tasca del cappotto e, quando alzò lo sguardo, finalmente lo vide.
Circondato da pareti buie, il vicolo si rivelò davanti a lui come una fessura tra due denti marci.
Il vapore bianco che lo riempiva, salì nell’aria e attenuò il giallo, che le luci della zona industriale, gettavano sulle pareti scrostate dei prefabbricati in disuso.
Vega lo aveva avvisato. Ricordava ancora bene le sue parole. Superata la densa colonna di fumo che divideva in due quello spazio angusto, avrebbe varcato il punto di non ritorno.
Erano passati almeno due anni dal loro primo ed ultimo incontro. Si erano dati appuntamento in quello che, un tempo, tutti conoscevano come La piattaforma, la mecca degli innesti di Biorobotica illegale.
Era un dedalo che seguiva il disegno irregolare di un meccanismo obsoleto.
Sotto le luci di un cielo perennemente rosso, sessanta piani interscambiabili si mescolavano in tre strutture a base mobile. Un posto difficile da navigare, non esattamente il migliore dove incontrare una sconosciuta.
Lei avrebbe potuto ingannarlo ma quell’eventualità, non riuscì a distoglierlo dalla sua missione.
Desiderava comprendere la natura continua del tempo, fondersi col tutto, divenire.
Per questo, non poté fare a meno di presentarsi all’appuntamento.
«Ho sperato fino all’ultimo che tu non venissi. Credevo che questo posto ti avrebbe spaventato ma, a quanto vedo, non sei nuovo di queste parti» Vega sorrise toccandosi il lato della fronte.
Sulla tempia sinistra del ragazzo, una macchia luminescente, dalla forma circolare, sporgeva sottopelle: un Recbot.
Killi ricambiò il sorriso. «Effettivamente non lo sono» E le mostrò quattro fori di connessione sulla nuca.
«Beh, quelli un giorno potrebbero tornarti utili, ma se posso darti un consiglio, ragazzo, non voltare mai le spalle agli sconosciuti»
A quel punto, il tono della sua voce si fece serio.
«Sei proprio sicuro di voler andare avanti con questa cosa?»
«Ne abbiamo già parlato, no? Sono qui, ho superato la tua prova.» Le disse allargando le braccia e guardandosi attorno. «Adesso dimmi quello per cui sono venuto qui e facciamola fini» stava per terminare la frase ma Vega lo interruppe bruscamente. «Quello che stai cercando non esiste. Intendo dire che non fa parte della realtà così come la conosciamo noi.» Puntualizzò. «Quello che troverai è l’uomo illuminato. Non ha un passato, il suo domani è il presente e tuttavia conosce ogni cosa.»
«Tutto questo non mi interessa» le rispose spazientito «io voglio solo le coordinate.»
Vega scattò in avanti e lo prese con una forza che non le avrebbe mai attribuito, spingendolo contro una colonna a led.
«Tu sei un ragazzo superficiale! Questo, è qualcosa che non puoi gestire, nessun umano può!»
Killi cercò di divincolarsi ma Vega, aumentò la pressione sul suo corpo. «Sai perché quel posto si chiama così?» Un leggero scricchiolio si intromise nella conversazione. «C’era questo tizio, un tedesco, era proprio come te.» Il tono della sua voce si addolcì ma il volto rimase inespressivo. «Si era stancato dell’ineluttabilità della vita. Avrebbe potuto salvarsi se, entrando nel vicolo, avesse cambiato idea e fosse tornato indietro ma non lo fece, non lo fate mai! Così superò la colonna di fumo.» La presa si indebolì «Quando il vapore bianco che lo aveva inghiottito lo risputò fuori, il suo sguardo era cambiato. Cominciò ad urlare, furono grida orribili. Werden! Werden! Durò un’infinità.»
Vega continuò a pronunciare quel nome con voce quasi strozzata, mentre le luci blu del led, incorniciavano i lineamenti statici del suo viso. «All’epoca, mi facevo pagare per portarvi lì, vi lasciavo e me ne andavo. Quella fu l’unica volta che decisi di restare.» Le labbra di silicio tremarono, tradendo la sua espressione di cera. «L’ultima.»
Accadde in quel momento. Lui le diede una testata. Fu un gesto istintivo. L’urto attivò il Recbot di Vega, la connessione celebrale si instaurò involontariamente, e una luce verde si proiettò sulla tempia di Killi. Quando lei mollo la presa, fu troppo tardi. Lui aveva già memorizzato la strada per raggiungere il Werden.
Mosse un passo in avanti e il fumo lo assorbì.
Un groviglio irregolare di cavi rivestiva le pareti vive come nervi scoperti.
Killi osservò quella matassa strisciate, addensarsi verso il centro della stanza, e trasformarsi in duna.
Senza esitazione, vi si sdraiò. Qualcosa di gelido aggredì la nuca fondendosi alle sue sinapsi.
Osservò L’uomo illuminato avvicinarsi, navigava tra le interferenze dello spazio bianco che li separava.
Killi si accorse che non stava più vedendo con i suoi occhi ma con la mente.
Quando toccò quell’essere antico, una fitta lo percosse e dal centro del suo corpo, iniziò a colare una materia viscosa, che si riversò a terra e gli mostrò il principio di ogni cosa. La sua mente si districò tra le rovine del tempo, fino a quando ritrovò l’uomo illuminato.
Il suo nome era Futuro. Lo vide nascere disperato e già morente. A non dettarne la fine, furono le fantasie che gli uomini avevano affidato al caso, e dalle quali Futuro riuscì a trovare la terra.
Ben presto comprese che, solo grazie a quel tipo di immaginazione, sarebbe riuscito a sopravvivere.
Così egli insegnò agli uomini l’importanza del tempo e loro gli dedicarono la vita.
Cosa sarebbe stato del futuro? Divenne l’ennesimo cruccio dell’umanità.
Killi fluttuava alla luce di quel non luogo, che ormai non aveva più colori. Osservò la materia che lo aveva trapassato rovesciare nero su bianco, percorsi immaginari.
Alcune erano strade che gli erano appartenute, altri solo vicoli ciechi.
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