Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Quanti pensieri può contenere un nano da giardino?

di Matilde

Quella mattina l’aria era più pungente del solito, quasi fredda per un giorno di Maggio, e il sole sembrava timido e indeciso nel farsi vedere.
Ero sdraiata sullo stesso prato di sempre, nel cortile di fronte casa di Bianca.
E’ una donna molto interessante, alterna momenti di estrema gentilezza ad insoddisfazione e guida a scatti all’uscita dal vialetto di casa. Ha un modo di camminare rapido e molto elegante che le fa oscillare i capelli neri alle spalle a un ritmo regolare, quasi a tempo di musica, questo suo modo di muoversi mi ha sempre affascinato molto, forse perché non sono mai riuscita a camminare nello stesso modo e difficilmente riuscirò mai a lasciar ondeggiare i capelli.
Quella mattina avevo scelto di ritornare alla mia solita passeggiata per il quartiere, era da tempo che non lo facevo. Il rientro nel giardino di Bianca era sempre stato intorno alle diciannove con cena all’aperto e pernotto sotto la magnolia, per riprendere le mie occupazioni al sorgere del sole la mattina successiva, ma nei mesi precedenti le cose erano cambiate. Non ricordavo più il rumore dei passi della gente sulla strada di casa o l’odore di caramella che hanno i bambini quando mi vengono a salutare.
L’ultima volta che avevo attraversato il quartiere, un uomo mi aveva sfiorato prepotentemente con il suo piede, per poi girarsi a insultarmi e quella tensione nella voce e sul volto mi aveva spaventato talmente tanto che anch’io, come Bianca, avevo scelto di non uscire per un po’ dal giardino. Il tempo era diventato più lento e solitario, ma ero riuscita a darmi delle nuove abitudini: un allenamento mattutino girando in torno alla Magnolia, un po’ di giardinaggio e poi tante ore a disegnare, perché anche con la scuola chiusa non potevo mollare il mio sogno. Lo studio era la cosa che mi mancava di più eppure non è così scontato che io frequenti una scuola, tecnicamente non farebbe proprio parte della mia specie, è un’attività che non si addice a un nano da giardino.
Matilde è il nome che una ragazzina dai capelli rossi mi aveva assegnato una domenica, mentre passeggiava con la nonna ed io mi ero sentita subito a mio agio. Abitavo il giardino di Bianca già da qualche anno, ma lei non mi aveva mai chiamata per nome cosi non mi ero mai posta il problema, ma per fare quello che sognavo un nome mi serviva per forza, allora avevo accolto con gioia questo strano battesimo.
Quella mattina di maggio, dopo tanto tempo chiusa nel giardino, era arrivato il momento di uscire, anche se gli uomini erano davvero diventati un po’ strani. Avevo ascoltato, senza volere, la telefonata di Binaca a un’amica. Parlavano di questo strano coso che tendeva ad entrare nelle narici degli uomini per spaventarli e allontanarli dalla vita normale e che un certo Duca, Principe o Conte, non ricordo, aveva chiesto a tutti di restare nella propria casa per un po’ di tempo. Forse era proprio questo ad aver reso gli uomini più duri e tristi.
Insomma, finalmente era arrivato il momento per me di riprendere a lavorare e mi sentivo ancora più fragile del solito. La mia corporatura fisica è abbastanza particolare, sono fatta di ceramica e al mio interno sono vuota. Se mi stringi tra le mani sembro resistente, ma la caduta può essere fatale. L’interno è vuoto per lasciare più spazio possibile ai pensieri, ma nessuno si aspetta da noi idee geniali o sogni troppo grandi, dopo tutto quanti pensieri può contenere un nano da giardino?
Forse sono nata con un difetto di fabbricazione perché prima che questo Duca emanasse il suo editto, io frequentavo l’università. Mi ero messa in testa di imparare a costruire i grattacieli, volevo fare la cosa più grande che avessi mai visto. Tra gli uomini mi pare li chiamino architetti, tra nani invece li chiamiamo “costruttori di giganti”, anzi “costruttore di giganti” perché ne è esistito solo uno e non ha fatto proprio una bella fine.
Io volevo provarci lo stesso e allora quella famosa mattina di maggio ho pensato che gli uomini negli ultimi mesi avevano già visto cose incredibili e forse avrebbero accettato il primo grattacielo progettato da un nano da giardino.
L’avevo immaginato luminoso, accogliente e perfetto per gli uomini che mi sembrava stessero già soffrendo tanto e volevo lasciare anch’io il mio contributo. Dopo tutto senza quegli uomini un po’ burberi non sarebbero più esistiti neanche i bambini, che sanno di caramelle e mi vengono a salutare.
Quella mattina volevo fosse diversa. Presi i miei disegni colorati dopo averli riposti in un raccoglitore verde e mi avventurai per il quartiere in cerca di uno studio di architettura. Una donna aprì la prima porta alla quale bussai e al mio saluto lanciò un grido tanto forte che mi spinse a scappare via. Il secondo scoppiò e ridere e il terzo non venne proprio ad aprire. Continuavano tutti a dirmi che in un periodo del genere “non assumono neanche quelli della loro specie”, figuriamoci una come me, ma non mi davo per vinta. In realtà non conoscevo proprio il significato di “per vinta”.
L’ottava porta era quella giusta. Mi dissero che il periodo era difficile, ma che stando fermi tentare non costava nulla e li iniziai a disegnare le mie idee. In un tempo cosi folle, ai loro occhi sembravo davvero quasi normale.
Mi mostrarono come si muovono gli uomini in uno spazio, come interagiscono tra loro e quanto dopo tanti mesi hanno voglia di abbracciarsi, mangiare insieme o raccontarsi le storie.
Il movimento e soprattutto l’energia degli uomini, mi ha insegnato tutto e lo fa ancora, dopo tutto dal giardino di casa di Bianca riesco a vedere un sacco di cose. Ogni tanto penso all’uomo che mi ha quasi colpita, alla sua espressione tesa e al tempo trascorso nel mio giardino, sola, fragile e annoiata, ma in fondo quanta paura può contenere un nano da giardino?

 

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