Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

L'alba del mondo nuovo

di Claire Voyant

‘Il mondo che conosciamo non esiste più.’

Il pensiero era un chiodo fisso, una martellante litania che Kathleen Humphrey non riusciva a scacciare dalla mente.

All’inizio era solo un’affermazione scontata per giustificare le stranezze della nuova vita che, improvvisamente, tutto il mondo si era ritrovato a vivere. L’isolamento, le protezioni individuali, l’incertezza sull’origine del nuovo virus. Non era stato difficile abituarsi alle novità, a rimanere più spesso a casa, a limitare i propri contatti con il mondo esterno; in verità, era stato anche piacevole avere più tempo da dedicare alle proprie passioni.

Erano stati mesi proficui. Il mondo intero prometteva una ripresa grandiosa che avrebbe abbandonato all’oblio gli anni della pandemia, conservati nella memoria storica per le generazioni future e subito dimenticati da chi, invece, li aveva vissuti, e Kathleen ricordava con sorprendente chiarezza la sera in cui il Presidente Garland aveva annunciato la fine dell’epidemia.

«La curva è azzerata. Abbiamo sconfitto il virus.»

Ricordava il suo volto, privo per la prima volta di quel casco trasparente che ancora oggi le provocava un moto di dolorosa ilarità. Era stato efficace per evitare i contatti interpersonali, e il respiratore aveva garantito livelli di ossigeno sempre ottimali, ma a quale costo?

Se lo era chiesto allora, all’alba del giorno in cui l’umanità vittoriosa aveva sconfitto il virus. Se lo era chiesto quando, uscendo dal suo appartamento, il capo privo della sua bolla per la prima volta dopo più di un anno, aveva percepito gli odori sconosciuti di una città in fermento. E se lo era chiesto ancora poche ore dopo, quando perfetti sconosciuti l’avevano afferrata e abbracciata, gridando al vento la propria libertà.

Era un’atmosfera di brio contagioso, ma l’aveva fatta sentire sporca. ‘Colpa del virus,’ si era detta. Aveva cercato di ricordare se una cosa del genere fosse mai successa prima, e aveva alzato le spalle davanti alla scoperta che, semplicemente, non ricordava come fosse la vita prima.

Quella sera aveva sentito le urla per la prima volta e, al sicuro nel suo appartamento, aveva alzato il volume della musica, cercando il conforto dell’isolamento perfetto. Il giorno dopo, notando il corpo senza vita di una donna vicino al cassonetto dei rifiuti, era rimasta senza fiato.

La polizia aveva detto che era stata una disgrazia e aveva cercato, senza troppo impegno, di raccogliere testimonianze dagli abitanti del palazzo. Solo Kathleen disse di aver sentito urlare – forse, non poteva esserne sicura – ma all’uomo in divisa che annotava la sua testimonianza interessava poco. La donna uccisa era una prostituta: erano i rischi del mestiere.

Due giorni dopo, quando ad essere uccisa era stata una giovane madre, ci si era impegnati appena un po’ di più nella ricerca del colpevole. Alla TV si parlava di un serial killer, mentre in tutto il Paese aumentavano i casi di violenza contro le donne e si facevano ipotesi sulla genesi di questa violenza, sul consumo di droghe e psicofarmaci. Si ricordava alle donne di fare attenzione, di rimanere in gruppo, come animali braccati da predatori selvatici. Ma anche i predatori si riunivano in branco, e la violenza aumentava, un contagio inarrestabile la cui curva continuava a salire.

Kathleen si chiedeva soltanto quando il governo avrebbe ordinato alle donne di rimanere a casa per proteggersi. L’isolamento aveva funzionato con un virus, perché non avrebbe potuto funzionare con un altro?

«Troverebbero il modo di entrare,» aveva detto sua sorella con una certezza che le aveva gelato il sangue. «Perché chiudersi in gabbia e aspettare il proprio turno?»

«Ma potremmo difenderci.»

«O potremmo morire anche noi.»

C’era una luce nei suoi occhi che Kathleen conosceva bene sin da quando erano bambine. Zelda era più piccola, ma era anche più forte, in un modo un po’ arrogante che la spingeva a sfidare i limiti imposti dalla società.

«C’è un posto, oltre la montagna... Un gruppo di sopravvissuti ha creato una colonia. Ci sono donne e bambini, e qualche uomo. Si cerca di fondare una nuova civiltà.»

Kathleen si mordeva l’interno della guancia, pensando alla conclusione che aleggiava sospesa sulle sue labbra.

«Conosco qualcuno che può aiutarci a scappare. Il prezzo è alto, Kat, ma la nostra vita vale molto di più.»

Avevano pianificato tutto nei dettagli e riempito due grossi zaini con ciò che restava delle loro vite, ed eccole lì, uscire di soppiatto dallo scantinato del palazzo di Kathleen poche ore prima dell’alba, nel terzo mese di quella che i media ora definivano La Caccia.

Le donne che non avevano uomini a proteggerle rimanevano nascoste, in attesa di una cura, ma Kathleen e Zelda non avevano mai visto tanta brutalità come quella dalla quale fuggirono quella notte. I corpi senza vita di donne tutte diverse, accomunate da uno stesso tragico destino: essere donne al tempo della Caccia, vanto di una virilità malata su una femminilità ormai svilita.

Mai come in quel momento era stata grata a Zelda per la sua determinazione.

«Sta’ giù!»

Avevano raggiunto un’area boschiva, dove avrebbero incontrato le Velate, donne che facevano la spola tra i due mondi: quello da ricostruire, la nuova civiltà nascosta e protetta da una barriera naturale di alte montagne innevate, e quello da abbandonare, nel quale il progresso e l’assenza di interazione sociale avevano risvegliato nell’uomo la bestia civilizzata.

‘Il mondo che conosciamo non esiste più.’

Kathleen inspirò profondamente. L’odore del terriccio umido non le era familiare.

«Ho paura, Zelda.»

«Anch’io. Ma ci siamo quasi.»

La mano di Zelda si sollevò: era il momento di alzarsi e correre.

‘Ci siamo quasi.’

Quasi arrivate alla salvezza delle Velate. Alle porte di una nuova vita.

Era l’alba di un mondo nuovo, e mentre correva tra gli alberi, verso la radura inondata dalla luce rosa dell’aurora, Kathleen Humphrey sperò con tutte le sue forze che non fosse tutto invano; che il mondo che stavano per costruire fosse anche un mondo migliore.

 

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