Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Il futuro desiderabile

di Claudia Ferri

Non ho mai pensato al futuro.
Forse un po’ a quello del mondo, mai al mio.
Ricordo una conversazione lontana, in cui si commentava l’esperienza realmente accaduta di una missionaria, in qualche angolo sperduto del Sud America.
La suora aveva organizzato un’efficiente comunità, programmando rigorosamente l’impegno di coltivare la terra e allevare gli animali. Le risorse venivano utilizzate con parsimonia, nei magazzini venivano stipati generi alimentari non deperibili, per affrontare una possibile carestia o qualsiasi altro inconveniente potesse esporre alla fame.
La missionaria si sentiva impossibilitata a prendersi un solo giorno di vacanza, perché temeva che la piccola comunità avrebbe disperso tutta la sua opera di oculata amministrazione. Per lei quei nativi erano come bambini, avrebbero consumato tutto, senza alcuna preoccupazione per il giorno dopo o i per i mesi successivi.
Alla suora sembrava che, in quella parte del mondo, tutti problemi risiedevano nell’incapacità di programmare il futuro, si preferiva una festa, alla prudente rinuncia.
Intervenni, dicendo che il dilemma riguardava tutti, su più piani.
Il Nord e il Sud del Mondo, i ricchi e i poveri, i parsimoniosi e i dissipatori, la formica e la cicala, coloro che vivono il presente e quelli che preferiscono pensare al futuro.
Il parsimonioso è felice del suo gruzzoletto, il dissipatore della sua gioia di vivere.
Entrambi pagano il conto. Chi si gioca il presente, chi il futuro, certe volte tutt’e due.
Da insegnante, poi, mi venne in mente di citare Rodari e il suo tentativo di risolvere con delle filastrocche quello stesso dubbio che animava la conversazione.
Rodari esalta la cicala “perché il più bel canto non vende, regala”. In un’altra filastrocca immagina una rivoluzione: “Tutto cambia: le nuvole, le favole, le persone…La formica si fa generosa…è una rivoluzione!”.
Chi conserva, toglie il più delle volte qualcosa a qualcuno e, in ogni caso, chi conserva non avrebbe potuto prendere a piene mani, se tutti fossero stati oculati amministratori.
E la suora? Cosa avrebbe dovuto fare? Assecondare la voglia di vivere degli indigeni o no? Emanciparli, consentendo loro di riconoscere il valore della loro economia di sussistenza o alfabetizzarli, come stava facendo, all’economia di mercato?
Temo che la suora, con la sua intraprendenza, non si sia mai posta il dubbio.
Quel dubbio che dovremmo avere tutti, quando pretendiamo di conoscere il futuro desiderabile, per noi e per gli altri.
Fu un giorno preciso, ad Aielli, che io compresi che c’è un altro modo per pensare il termine desiderabile.
A suggerirlo un murales realizzato da Gio Pistone: DeSidero.
Divagammo, a lungo, sul significato etimologico del verbo de-Siderare: senza stelle.
Lo confrontammo col verbo con-Siderare: con le stelle.
Si dice futuro desiderabile, non considerabile.
Ne abbiamo preso atto. E’ un attesa nel buio.
Quello che supponiamo sia un bene, è una possibilità, non necessariamente la migliore.

 

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