Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Una voce nell'oceano

di Stilografo

Mi sento annegare.
La mia anima fuoriesce dall’acqua, dimena le braccia, lotta con i flutti e viene di nuovo sommersa dalle onde. Le isole della memoria sono così lontane, lontane come la spiaggia di ricordi da cui sono salpato. Sento freddo.
La luce del sole è stata divorata dalla tempesta del destino, il buio mi avvolge senza darmi respiro. Il mio corpo esanime continua a sprofondare nell’oscurità dell’oceano, i polmoni si fanno pesanti, le membra stanche. Forse dovrei solo lasciarmi andare, smettere di lottare con il mare. Prima o poi la nave sarebbe comunque affondata, no?
Avrei solo voluto vedere un’altra sponda, un’ultima barriera corallina, vivere un giorno in più. Sforzo un’altra bracciata.
Dal profondo dell’oceano, una voce mi chiama.

Anche oggi Sarah è venuta a trovarmi.
Duranti gli attimi di storpia lucidità, gli sfuggenti secondi che si alternano all’incoscienza totale, la sento accanto a me. Si lascia cadere stancamente sulla brandina, i suoi muscoli sono stremati come gli occhi. Quanto tempo sarà passato ormai? Sembra un’eternità da quando il mio futuro è stato collegato ad una macchina, da quando sono rimasto bloccato nella mia testa. È una prigionia senza spiragli.
Ho sempre dato per scontato il domani, non mi sono curato abbastanza della sua reale importanza. Ma che senso ha rimuginarci ora, disseppellire il tesoro che non posso trasportare in un porto sicuro? Ormai sono un relitto, un naufrago della tempesta in attesa di addormentarsi sul fondale.
Nell’immobilità totale della stanza, un ronzio si fa via via più vivido. Non dovrei sentire né vedere nulla, forse me lo sto immaginando?
«Come sta oggi?». È la voce si Sarah, sta parlando con un dottore. Riesco a percepire un movimento dell’aria, un sottilissimo sospiro.
«Non migliora, temo. Ormai è passato troppo tempo» risponde lui.
Vorrei urlare che sono ancora qui, che sono ancora vivo, ma le labbra non si muovono di un millimetro. Il medico parla ancora.
«Che cosa farà domani, signora? Credo sia ora…».
Le voci si allontanano e la vista si offusca, mentre il macchinario continua la sua canzone straziante.
Ho bisogno di riposare.

Penso di aver fatto un sogno, un sogno sfocato. Io e Sarah avremmo dovuto sposarci, volevamo seguire il futuro che avevamo scelto insieme. Era una cosa importante, ma non la ricordo. Fatico a riordinare i pezzi, la memoria si lascia guardare a sento, si nasconde. È come se non fosse neanche la mia.
Nuvole disordinate, tuoni e lampi si rincorrono. Poi, dopo la violenta tempesta, le nubi si squarciano, il sole mi accarezza i capelli e una colomba si libra aleggiando nel cielo.
«Ancora qui?». Nel sogno, l’uccello mi parla.
«Non posso più uscire. La nave è affondata ormai» rispondo io.
«Quale nave?» domanda il pennuto.
«Quella del futuro, del domani, del dopo, chiamala come vuoi. La tempesta l’ha distrutta nel momento in cui sono sprofondato nel coma».
«E quindi?» insiste lui.
«Quindi non riesco a muovermi o a parlare al di fuori della mia testa. Chi darà la voce ad un naufrago che è rimasto indietro? Chi salverà il mio futuro? Le certezze sono morte, ed io con loro» replico.
La colomba continua con la sua danza leggiadra. «Eppure io sto volando, le nubi si sono diradate e il tuo cuore batte ancora. Finché non si ferma, puoi recuperare la tua nave».
Se potessi piangere, lo farei. Il cuore non sa se scoppiare o spegnersi per sempre, come una stella che ha già esaudito un desiderio.
«Recuperarla? È sul fondo dell’oceano!».
«Sì, ma… è ancora lì». Con un battito d’ali, l'uccello svanisce insieme al sogno ed io ritorno alla mia lotta.
L’oceano continua a trascinarmi a fondo, l’oscurità mi avvolge, il respiro si spezza. Non c’è più nulla da fare.
Mi sento annegare.

Prima bracciata.

«Credo sia ora di staccare la spina, signora. Deve pensare al suo futuro». Bracciata. La voce del medico è morbida e pacata. Sta sull’uscio, immobile, in attesa di una risposta. Sarah è ancora accanto a me, non dice una parola.
Il silenzio sembra eterno. Sta pensando di abbandonarmi? Bracciata. Se decidesse di farlo però, non potrei biasimarla. Chi diavolo salverebbe un domani così disperato? Bracciata.
Il ticchettio del macchinario mi fa ripensare alla proposta di matrimonio. Avremmo dovuto passare il resto della vita insieme, il “dopo” sarebbe stato felice. Bracciata. È vero che la nave sarebbe affondata comunque, prima o poi, ma almeno non sarei naufragato da solo. Avrei visto altre sponde. Bracciata. Altre barriere coralline. Bracciata. Avrei vissuto un altro giorno. Bracciata.
«Domani… domani verrò ancora». La frase esce come un sibilo dalle labbra di Sarah.
«Signora, ma non possiamo fare più niente». Bracciata.
«Mio marito si sveglierà, ne sono sicura. E io domani sarò qui». Bracciata.
Lotto come un disperato con l’abisso, combatto con tutte le mie forze con la corrente e con il buio. Ancora una, ancora un’ultima bracciata per raggiungere il mio domani, perché domani è un nuovo giorno. Bracciata.
Dal profondo dell’oceano, una voce mi chiama.
«Apri gli occhi».

 

Registrati o fai il login per votare!







Iscriviti adesso alla newsletter del FLA per essere sempre aggiornato su tutte le novità e le iniziative del Festival!