Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Uno strano oggetto

di Ino

“Devi seguire le regole. Sempre.” La voce del padre galleggiava nei ricordi del ragazzo. Ne stava dimenticando il suono, come fosse un relitto perso nell’oceano dopo la tempesta.
“Noi siamo soli e rimaniamo soli. Non andiamo mai in città. Ma soprattutto dobbiamo restituire questo.” Mentre chiudeva la frase solenne alzava l’oggetto, ingiallito e mangiato dal tempo. Ora che il padre non c’era più,il ragazzo si era spinto in città. Era la prima volta in vita sua che ci andava. Aveva il cuore che gli rimbalzava nel petto, nell’assoluto silenzio poteva sentirlo cadenzare la sua paura.
La città era in rovina da prima che lui nascesse, i muri erano stati divorati da muschio e edera. I tetti lasciavano entrare il cielo e le stelle.
I lampioni spenti per sempre,erano alberi di metallo senza chioma. Sopra uno di questi gracchiava nervoso un uccello nero con il collo spiumato.
L’asfalto era diventato grinzoso e frastagliato come il volto di un vecchio e dalle crepe si affacciavano coraggiosi fiori gialli, lucertole guizzanti e formiche operose.
Tutto il mondo era abbracciato da una nebbia, densa da mordere. Il padre gli aveva raccontato che era iniziato tutto con la nebbia. Le persone avevano cominciato a sparirci dentro. Il ragazzo la guardava a distanza, il suo era un Mondo orribile e crudele ma era meglio del Nulla che avrebbe trovato al suo interno.
Ignorò le case con la porta sfondata e già rivoltate da cima a fondo. Consultò la mappa, doveva raggiungere la X ricalcata più volte dal dito unto e lercio del padre.
“Devi riportare l’oggetto al suo posto. È scritto così.”
L’uomo era ormai alla fine, tossiva e non vedeva quasi più.
Il ragazzo lo chiamava papà ma non era sicuro fosse davvero il suo papà. Il ricordo vago di una famiglia era in una foto mangiata dal tempo dove non c'era quello scheletro con la barba bianca a cui stringeva la mano. Si asciugò una lunga lacrima e ficcò la mappa nella tasca di quel che rimaneva di un paio di pantaloni troppo grandi. Aveva improvvisato una cintura con un cavo elettrico rubato a quello che suo padre aveva chiamato computer.
“Con questo potevi decidere vita e morte premendo un tasto.” E mentre lo diceva fracassò con un grosso sasso lo schermo spento.
Il ragazzo rimase muto e curioso. Il padre diventava cattivo quando parlava del passato, forse non era un bel posto.
Per fortuna era lontano. Troppo per poterlo raggiungere.
“Dobbiamo riportarlo. Dobbiamo…”
L'uomo si era addormentato per sempre mentre ripeteva le sue regole.
Il ragazzo lo aveva vegliato per quattro giri di sole e poi lo aveva avvolto con la sua coperta lasciandolo lì, tranquillo. Magari si sarebbe risvegliato dopo aver riposato più a lungo.
Disegnò sul muro il suo viaggio per chi sarebbe venuto dopo, prese l’oggetto, deciso a compiere il suo dovere.
Il punto indicato dalla X sembrava corrispondere a un immenso casermone di mattoni rossi bruniti dal sole.
Il ragazzo si avvicinò con cautela e trovò un buco nella rete metallica che abbracciava l’edificio. Annusò l’aria e si sentì sicuro, era di certo l’unico in zona. Spinse la grande porta che cigolando si aprì. Un’unica stanza, enorme colma di oggetti simili tra loro, gli si parò davanti. C’era un forte odore di polvere e di vecchio che per un attimo gli ricordò il padre. Fece uno starnuto rumoroso e un paio di piccioni volarono via impauriti. Si spaventò anche lui.
Prese uno degli oggetti e lo confrontò con il suo. Erano molto simili. Li aprì entrambi e anche all’interno erano identici.
All’improvviso un ruggito di metallo squarciò il silenzio e un’ombra avanzò nella nebbia. Si guardò attorno sentendosi in trappola. Uscì all’aperto e cercò una via di fuga. Tentò con tutte le sue forze di sollevare una lastra tonda di ferro che chiudeva un passaggio nel mezzo della strada. Non c’era più tempo.
Il mostro di ferro lo illuminò con i suoi mille occhi tondi e una voce rimbombò nel vuoto:
“Ragazzo, cosa ci fai qui?”
Il ragazzo si coprì il volto con una mano per filtrare la luce che gli feriva gli occhi e rimase in silenzio.
Ci fu un altro suono, stavolta secco e rapido e dalla testa del mostro uscì un uomo. Era strano non aveva peli e la sua pelle era nera come se lo avessero bruciato.
L’uomo nero scese dal mostro e si avvicinò. Gli tendeva una mano mentre stringeva qualcosa con l'altra.
“Sei solo?”
Il ragazzo rimase in silenzio.
“Ragazzo?”
La mano dell’uomo gli sfiorò il volto e lui gli saltò addosso.
Il ragazzo afferrò con i denti un dito dell’uomo e tirò con forza. L’uomo urlò e il ragazzo sputò un pezzo di carne sanguinante lontano. Provò a scappare ma l’uomo nero lo colpì in testa.
Quando si risvegliò provò a muoversi. Era di nuovo solo ma al caldo, in una piccola stanza con una coperta in un angolo e una tazza con un po’ d’acqua nell’altro. Una grossa fune grezza gli stringeva i polsi.
La porta si aprì e tre uomini, tra cui quello nero, entrarono.
“Chi sei?” chiese quello più alto.
Il ragazzo non rispose ma appena vide che nella mano dell’uomo c’era lo strano oggetto, fece un balzo. La corda che aveva attorno alle caviglie lo fece franare faccia a terra come un albero secco.
Gli uomini si guardarono e parlottarono tra loro.
“Cosa c’è di tanto importante in questo libro?”
Il ragazzo cominciò a piangere e ripeté la nuova parola: “Libro.”
L’uomo alto si inginocchiò e lo fissò dritto.
“Perché?” ripeté.
Il ragazzo disse solo: “É la regola.” E indicò con forza l’oggetto chiamato libro.
L’uomo alto sfogliò le pagine e arrivò alla fine, sembrava essere la parte più usurata. C’erano impressi un timbro rosso stinto e una frase, una soltanto:
“Da restituire alla biblioteca.”

 

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