Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

Lettera a Futura

di Michael Rossi

Cara Futura,

ti scrivo così mi distraggo un po’, la pandemia è finita e più forte ti scriverò (che citazione colta, ma banale).
Ricordi i giorni in cui la notte per farci compagnia scrivevamo racconti e poesie, inviandoci le reciproche creazioni? Era il nostro modo di dissimulare la paura e la solitudine di quella pandemia. Chiusi in casa, isolati dal mondo, dagli affetti. Penso che quel “diario di guerra” sia stata la salvezza della nostra tenuta psicologica.
Ricordi? Disegnavamo il futuro, la società del post covid, la vedevamo così utopica, cosi perfetta, cosi piena di pace sociale, ecologismo, diritti, uguaglianza, spinti come eravamo dai discorsi di Mattarella e Papa Francesco, i nostri velieri durante la tempesta, che risuonavano epici ed etici nelle piazze vuote e nei condomini isolati.
Mi illudevo nella speranza di un futuro in cui lo sviluppo avrebbe finalmente trovato il proprio connubio definitivo con la sostenibilità, il ritrovato centrismo della scuola e della sanità, le nuove prospettive per il lavoro, le speranze per il sud, “che temi originali, se non per quella vecchia idea de esse tutti uguali” come avrebbe detto il buon Daniele Silvestri.
Già durante il secondo lockdown, capimmo che qualcosa non era andato così bene: la rabbia sociale, i disordini, la disunione nazionale, il perenne scontro generazionale tra anziani e giovani, l’egoismo di chi chiudeva gli occhi di fronte alla sofferenza, una certa malapolitica latente ed endemica, erano tornati ad occupare le paginone dei giornali e le cronache nazionali, segno che la pandemia ci aveva, sì segnato nel profondo, ma senza migliorare alcuni antichi malusi e malcostumi nazionalpopolari.
Ed eccoci qua, a vivere quello che disegnavamo e immaginavamo essere il futuro. Ti sembra così migliore, abbiamo davvero imparato qualcosa, abbiamo cambiato qualcosa dei nostri comportamenti insostenibili ed egoisti? Hai la percezione che siamo migliorati?
Sarà il mio pessimismo cosmico, ma no… per me è tutto uguale, forse peggio di prima, se non che adesso abbiamo l’aggravante di sapere cosa c’è oltre il burrone. E, personalmente, credo che prima o poi ci rifiniremo con tutte le scarpe infangate, che sia la prossima pandemia, la prossima crisi economica, il prossimo disastro idrogeologico.
Guardaci: abbiamo riabbandonato i nostri cari in residenze per anziani, dopo la carneficina, perché noi siamo troppo impegnati a fingere di essere businessman, non abbiamo tempo per loro, pesi morti ed improduttivi della società (che col senno di poi Toti forse non fu solo mascalzone e politicamente scorretto, ma anche tremendamente realistico). Vale più una cena con amici in un ristorante stellato, che una sana minestrina con chi ci ha svezzato.
Abbiamo riabbandonato la sanità, li chiamavamo E-R-O-I ed invece eccoci, alla vigilia della prossima finanziaria, che il Ministro dell’Economia parla di “sacrifici necessari e taglio dei rami improduttivi del sistema sociale”. Quasi quasi adottiamo anche il modello americano, che cosi chi sta bene, bene starà e chi non ha mezzi economici, segno della croce ed affidarsi alla speranza. La “pressione sul sistema delle terapie intensive” era sulla bocca di tutti i giornalisti, i dirigenti sanitari correvano a cercare posti letto e respiratori, quelle promesse di “non abbandonare e trascurare più il sistema sanitario nazionale” sono state puntualmente disattese.
La scuola: tu ci lavori e lo saprai meglio di me, in quei giorni si aprirono grandi speranze di innovazioni, di nuove assunzioni, di futuro dell’insegnamento. La DAD, ti ricordi? Che cosa sarebbe stata la scuola con un giusto mix di presenza e DAD, fantasticavamo su come grazie alla tecnologia, avremmo fatto viaggiare i nostri studenti direttamente nei grandi musei di tutto il mondo, o fargli visitare in 3D un apparato gastro intestinale. Invece guardali, di nuovo tutti ammassati, ogni tanto qualche intonaco cade ancora sui banchi, che anche qua di idee ce ne sono tante, ma di fondi pochi e niente. E tu? Sei ancora precaria?
Parlavamo di Sud, di ripopolamento dei borghi abbandonati grazie allo smart working, delle metropoli del nord finalmente vivibili e non più inquinate. Che tutto sarebbe andato male, io lo capii dopo un mese, quando il datore di lavoro, arrampicandosi agli specchi ci chiese di riammassarci in ufficio, che “il vero lavoro è in ufficio, mica a casa!”. L’ottusità della piccola classe imprenditoriale italiana, non capì i benefici e si spaventò di fronte alla prospettiva di un dipendente con meno controlli in presenza, senza mai pensare ai possibili impatti positivi sulla produttività dovuti ad un maggiore confort e maggiore motivazione. E cosi oggi Milano muore sotto le polveri sottili e San Giovanni Lipioni conta meno di 50 abitanti oramai, però che bell’aria quando torno a visitare i miei cari!
Ed ora guardaci, Anno Domini 2030, sono le 20:30 di un mercoledì sera ed al TG Web, parlano di un pangurino asiatico che ha contagiato un mercante di non so quale wet market ed ora ci sono diversi casi di una strana febbre, che non passa… ti ricorda qualcosa?
Io per sicurezza rifarò scorta di mascherine, penna ed inchiostro, indelebile questa volta, che magari a questo giro ce lo immaginiamo meglio il futuro e lo costruiamo ancora più bello delle nostre fantasie.


 

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