Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
Algorithm. Game. Match.
di Massimo Bencivenga
Stefano osservò la moglie Roberta rientrare in casa dalla terrazza sulla quale aveva eseguito la sua sessione mattutina di esercizi. Fasciata in yoga pant con fantasie azzurre, antracite e fucsia, con top giallo, era semplicemente deliziosa, la sua Roberta, con quei lunghi capelli neri e il fisico di una pin up nonostante i quaranta passati da quasi un lustro.
«Gioisco!» esclamò la donna gustandosi una lunga sorsata della bibita ai sali minerali offerta a loro pochi giorni prima da una azienda in rapida ascesa. Omaggio arrivato dopo aver risposto a un questionario.
« Cos’è successo?» indagò il marito, atletico anche lui, ma a differenza della moglie con tratti molto regolari e banali, di quelli che si dimenticano subito, con quei capelli sempre ordinati e con quella riga a sinistra che sembrava tracciata con squadra e compasso.
« Gioisco perché ho ricevuto una notifica. Il mio peso è dello 0,9% sotto lo standard», così dicendo mostrò lo smartphone al marito.
« Benissimo. Inserisco subito questi dati, con i soldi risparmiati per future visite mediche a carico del SSN, forse l’Algoritmo ci consentirà di giocare qualche minuto in più.»
« Sarebbe fantastico. Come famiglia potremmo giocare di più, accumulare più punti alla gamification, guadagnare di più, lavorare di meno e avere più tempo per riempire i questionari con i nostri dati da dare in pasto all’Algoritmo. Un processo win-win» squittì la donna.
« L’Algoritmo è fantastico: ho appena immesso i nuovi dati ed ecco che ci ha fatto avanzare, come family, di 304 posizioni nel Rank.»
Stefano si alzò, abbracciò la moglie e la bacio velocemente; poi tornò a giocare all’ultimo MMORPG creato dall’Algoritmo. Giocare e accumulare punti, nel tempo libero, era un dovere per ogni cittadino che, così facendo, accumulava punti che diventavano offerte pubblicitarie, moneta e benefit in cambio della sola e semplice cessione di dati e info che l’Algoritmo avrebbe masticato per restituire una classifica, un rank.
Il Rank.
«Rabbrividisco!» cinguettò la donna, accentuando il tutto con movimento di spalle a simulare freddo e paura.
«Te lo ricordi, Nico? Il manutentore dei droni?» domandò lei.
Stefano annuì.
«Bene, è stato punito per essersi rifiutato di dire all’Algoritmo cosa preferisce mangiare quando si sente triste. L’Algoritmo l’ha declassato di oltre seicento posizioni. L’Algoritmo ha inoltre previsto che, stando ai dati e ai comportamenti, Nico potrebbe, all’ 85,6%, commettere un reato nei prossimi cinque anni. Furente, la moglie l’ha fatto rinchiudere in un Campo di Rieducazione. Non si è comportato da buon padre di famiglia.»
«Cos’è un Campo di Rieducazione?» chiese una vocina argentina scendendo le scale e assumendo le forme di Kevin, il loro bambino di sette anni che aveva i capelli castano del padre, ma lo sguardo, tra il furbetto e l’indagatore, della mamma.
« È il posto dove finiscono quelli che si rifiutano, per troppo tempo, di fornire dati all’Algoritmo. L’abbiamo anche noi in città.»
«Posso vederlo?» saltò su Kevin.
Roberta disse: «Forse sarebbe il caso che vedesse come vivono quelli che si ribellano e preferiscono lasciarsi portare dalla corrente anziché affidarsi, per la pianificazione della propria vita, all’Algoritmo.»
Padre e figlio, nel pomeriggio, si avviarono a passi lenti lungo le geometriche vie della città, che era stata ricostruita in questo modo dopo che un terremoto l’aveva quasi rasa al suolo. Niente più vicoletti sghembi o ciechi, né romantici muretti sbrecciati dove appartarsi con una ragazza.
Tutto adesso era ben organizzato e funzionale.
«Sono contento di te!» esordì l’uomo.
«Perché papà?»
«Stando all’ultima proiezione dell’Algoritmo, quelli con i tuoi voti in prima elementare hanno il 91,3% di probabilità di diventare professionisti, nonché un ottimo 33,7% di probabilità di diventare Pianificatori. Quanto mi piacerebbe un figlio pianificatore.»
«Cosa fanno i pianificatori?»
«Lavorano all’Algoritmo e pianificano la vita delle persone.»
Il bambino avrebbe voluto chiedere di più, ma la sua attenzione fu attratta da voci e urla concitate. Sguaiate anche.
«Cosa succede?» chiese il bimbo.
«Deve essere in corso un match» arricciò il naso Stefano.
«Come quelli che fai tu?» inquisì Kevin.
«No, io fornisco info il matching di dati che verrà elaborato dall’Algoritmo. No, qui è in corso una partita.»
«E cosa si vince?»
Stefano non rispose, ma guidò il figlio lungo la cancellata di ferro: alcuni cittadini in rieducazione stavano giocando una partita di calcio. E altri cittadini riottosi all’Algoritmo giocavano a Lacrosse.
«Guardali: sono grassi e volgari. E giocano come gli animali, senza avere né pretendere nulla in cambio. Quelli poi, che razza di gioco è quello in possono colpirsi con racchette. Ecco dove finiscono i reietti dell’Algoritmo.»
«Sembrano divertirsi» sussurrò Kevin.
A Stefano non piacque la scintilla che scorse negli occhi del suo unico figlio e decise di portarlo via.
Mentre si allontanavano, l‘uomo fu colpito in testa da una pallonata. Si affrettò a rimettersi gli occhiali e a sistemarsi la riga in fretta e furia, sperando che l’Algoritmo non si fosse accorto del suo disordine.
Prima di rilanciare la palla, Kevin provò a fare dei maldestri palleggi.
Stefano sgranò gli occhi.
«Rabbrividisco!» esordì, le guance infiammate dalla rabbia, Roberta sull’uscio di casa.
«Cos’hai fatto? Ci è arrivato un alert dall’Algoritmo.»
«Purtroppo una pallonata mi ha colpito e…»
«Kevin, vai di sopra!» ordinò lei.
«Ascolta, mi spiace ma io…»
«Non si tratta di te » sospirò la donna. Lo sguardo di entrambi corse alla finestra della camera di Kevin.
«L’ alert dice che è aumentata la probabilità che possa sviluppare comportamenti devianti e ribelli. Rabbrividisco, ma dobbiamo fare qualcosa. Non possiamo farci declassare per colpa sua. »
«Forse gli abbiamo concesso troppa libertà.»
«Deve essere così: troppa libertà. L’Algoritmo non sbaglia.»