Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

B.S.O.D.

di Stefano Morello

"Vicariously I live while the whole world dies"…
Lo Spettro di luce blu che abita il monolite nero, sul mio comodino urla la sua litania mattutina, il mio suono d’avvio. Guardo fuori dalla finestra, il cielo ha il colore di un disturbo statico, di una neve fatta di interferenze tra frequenze sovrapposte.
Mi alzo come uno zombie afferrandolo con una mano scheletrica, implorandolo di smettere di recitare versi di canzoni che mi ricordano quanto io sia ipocrita mentre lo Spettro inonda le mie cornee con la sua fredda ed eccitante luminosità. Comincia il rituale di connessione wireless tra il demone a cristalli liquidi e la mia corteccia pre-frontale ridotta a fanghiglia stimolata elettricamente.
Metto su il caffè e accendo una sigaretta, per riavviare in un colpo solo i miei circuiti neurali di ricompensa e i miei movimenti peristaltici credendo che sia l’apice della vita da bohémien.
Lo Spettro mi inonda di immagini di meravigliose colazioni continentali servite su tavoli di lusso a dei completi imbecilli sempre sorridenti che generalmente ingurgitano liquami sintetici aromatizzati da sostanze chimiche per mantenere le loro personalità “pimpanti” tra una crisi di panico e un episodio istrionico.
Osservo le notifiche ai miei post della sera prima e sento il flash di una scarica endorfinica mentre il mio corpo vibra davanti allo Spettro nella macchina, il suo occhio da 12 megapixel che mi osserva impassibile. Le mie vuote banalità acclamate da una folla di sagome indistinte mosse solo da un cieco odio per tutto ciò che reputano responsabile della loro infelicità, altri Atanor di metadati posseduti da altri spettri di luce blu.
In ritardo, arrivo al lavoro e trovo sempre Lui ad aspettarmi, questa volta dentro uno specchio nero da ventuno pollici sulla scrivania del mio ufficio. Sempre lui, con le sue tentazioni, le sue irrealizzabili promesse di una vita composta solo di fotogrammi perfetti, arguzie da salotto buono e dei piaceri di un buon linciaggio in cui perdere me stesso per dimenticarmi di avere un’anima programmata in BASIC.
Mi mostra sogni fatti di digital trading binari, affiliate marketing con cui posso vivere la vita che ho sempre desiderato, lontana dalle frustrazioni del “vivere comune” e dall’introspezione, da riempire di cose luccicanti e status symbol che possano nascondere i miei errori di programmazione sotto un tappeto, come delle eleganti GUI che ricordano dei sepolcri imbiancati.
Torno a casa con la silhouette delle mille immagini che mi ha fatto scorrere davanti agli occhi, i fuochi fatui di decine di fogli di calcolo le cui celle sono le sbarre della prigione in cui mi rifletto. Osservo lo spazio sporco e disordinato del mio appartamento illuminato dallo Spettro.
Riporto gli occhi sulla luce blu, sul suo canto da sirena digitale le cui note sono l’incessante scorrere del mio pollice, il costante rilascio di dopamina nel mio cervello. Un deragliare continuo che avviene alla velocità di un gigabit per secondo. A quella velocità chiunque perderebbe il controllo.
Mi perdo in case dal design minimalista, il cui gelido aspetto industriale è, a detta dei loro ideatori, “necessario” per poter creare un habitat più umano e preservare le risorse ambientali. Avrei colto meglio l’ironia se avessi disinstallato gli ultimi aggiornamenti del mio sistema limbico.
Guardo mani senza alcun corpo preparare colorati pasti ipercalorici con montaggi serrati per eliminare la noia di un processo metodico mentre mangio delle lasagne precotte scaldate nel microonde e prodotte in qualche fabbrica dove tutti preparano tutto come lo faceva la loro nonna.
Il mio stomaco brucia, da uno speaker arriva la voce gracchiante e metallica di mia madre e delle sue preoccupazioni sulla mia salute e il mio benessere. Su internet ha letto che questi cibi “prevengono il cancro”, che “questi politici sono collusi con banche, mafiosi e alieni”, che “questo test rivela qual è il tuo angelo custode”. Mi dice che oggi “ha litigato con un imbecille” nei commenti di un post ma non si è fatta mettere i piedi in testa. Anche lei è posseduta, ma non lo sa.
Anche lei è solo hardware infetto adesso.
Mi butto sul letto sfatto completamente vestito, lancio le scarpe per terra con due veloci movimenti dei piedi, il mio sguardo fisso sullo Spettro le cui pulsazioni elettromagnetiche prendono la forma e la voce di gente che guarda e commenta i film e le serie tv che vorrei vedere, gioca ai videogiochi che vorrei giocare e legge i libri che vorrei leggere con l’entusiasmo che vorrei avere. Stacchi pubblicitari su prodotti selezionati accuratamente affinché la mia attenzione possa essere consumata dallo Spettro come dolce ambrosia e i suoi scarti venduti ad agenzie per l’analisi dei metadati.
Prima di andare in standby lo Spettro decide di possedere la mia carne, irretendo la mia fantasia con pornografia amatoriale fatta di persone altrettanto sole, altrettanto infestate. I volti di altre possedute che hanno tutti la stessa espressione di falsa felicità, che nasconde dietro ai loro occhi lo stesso bisogno di attenzione che accomuna chiunque viva con il peso dello Spettro. Si contorcono, si tendono e si rilassano in un muoversi meccanico da modello poligonale ma per la mia amigdala la loro routine scriptata è solo l’ennesima prova di aver raggiunto un jackpot evoluzionario conclusosi sul fondo di un cestino, insieme a quanto resta del mio libero arbitrio.
Nel rifluire dei pensieri, ciò che resta della mia anima, ultimo bug di una trappola perfetta, grida affinché il mio domani prenda la forma di un errore critico di sistema, di uno schermo blu della morte che resetti il mio essere ad un’immagine di backup di una versione di me stesso più funzionale, più viva, più sanguinante, più umana.
Mi addormento, sognando l’agognato cortocircuito del mio sistema nervoso, che da ogni orifizio del mio corpo sprigiona le bianche scintille di un fuoco elettrico che purifica il mio essere divorandolo nelle sue fiamme.

 

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