Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

FUORI

di Simona Barba

Guardo fuori dalla finestra. Le montagne sono ferme di fronte a me, la luce del sole mattutino è tagliente. Bisogna andare via.
Tu mi abbracci, mi stringi forte. Mi piace sentirmi stretta a te. Nell’abbraccio sistemo il mio corpo contro il tuo per avere tutta la mia superficie a contatto con la tua. Il mio corpo, sotto i vestiti, sta cercando il tuo. I nostri respiri sono vicini. Con le mani ci accarezziamo come se fosse la prima volta, sono dolci e incerte. Sentiamo l’uno il desiderio dell’altra.
- Vai via. - Mi dici.
Eppure io non posso andare via, perché dovrei? Sto cosi bene, qui, con te. È una richiesta impossibile da esaudire.
- Mandami via
È la mia sfida.
Non ci riesci. Mi accarezzi, le mani hanno ritrovato la loro sicurezza e cominci a spogliarmi.
- Non abbiamo tempo.
Tempo, con te ho sempre fame di tempo.
Ma io utilizzo quel poco tempo per togliere tutti i nostri vestiti, togliere qualsiasi barriera, per sentire combaciare il tuo corpo esattamente al mio.
Ogni centimetro quadrato della mia pelle cerca il suo corrispondente sul tuo corpo, lo chiama e lo raggiunge. Voglio sentirmi schiacciata.
Entri lentamente dentro di me, assaporandomi. Ti avvolgo. In questo momento vorrei fermare tutto, perché ora tutto combacia. Tutto è perfetto.
Ma il desiderio è tiranno e si consuma nel piacere che ha bisogno di far muovere i corpi, ora lentamente, ora velocemente.

Siamo di nuovo immobili.
Ti stringo forte perché non voglio che ti muovi, voglio ritardare il risveglio dal tuo torpore, il momento nel quale ti distacchi da me.

Riapro gli occhi. La finestra è sempre di fronte a me. Mi gira un po’ la testa. Le vertigini a volte ricompaiono e fanno ondeggiare le montagne di fronte a me. Un forte ronzio attraversa i vetri, è l’ elicottero che controlla dall’alto le abitazioni. Automaticamente mi scosto, anche se so che è impossibile essere vista, ma il mio movimento è diventato istintivo.

Richiudo gli occhi.
Cerco nei ricordi. Quanto tempo è passato? Non riesco più a ricordare distintamente.
Ti stringo ancora, ma non ci sei più. Mi giro a cercarti, ti stai vestendo, mi volti la schiena mentre cerchi le tue cose da sistemare nello zaino. Mi piace osservarti quando non lo sai. Sei concentrato a cercare i vestiti sparsi.
- Ora andiamo veramente via.
Fermo il mio ricordo: mi soffermo su quell’avverbio. Non pensavo certo nascondesse questa realtà. Sei andato via. E non possiamo più incontrarci.

Sento un altoparlante fuori: dovete rimanere in casa, rispettate l’ordinanza.

Il sole fuori dalla finestra sembra ridere, la luce tagliente diventa un sorriso sarcastico. Non posso uscire. Nessuno puo’ uscire da tanto tempo. Strano che la chiamino quarantena. Sono 3 anni che nessuno esce più, pena la vita o la prigione.
Tocco con la mano il vetro, mi devo concentrare per ritrovare il mio esercizio quotidiano di memoria. Ho paura di dimenticare.

Gli abbracci sono vietati. È vietato toccarsi. Il corpo è diventato una entità pericolosa. Alla radio ho sentito che qualcuno ha provato a tagliarsi gli arti per ridurre i problemi. Anche nel cortile, quando sono andata a prendere la razione di spesa settimanale portata dall’esercito, ho visto un militare senza una mano. Forse è vero. Non ho modo di confrontarmi.
Una abitazione per un abitante. Tutti separati. Per il nostro bene. Per il bene degli altri. Anche se non so più quanti altri ci siano. Da quando la rete è crollata solo il governo dà notizia di quanti siamo. Dicono che siamo ancora tanti.
È cosi strano cercare di ricordare. Ci siamo abituati lentamente, tutti docilmente, alla nuova vita. Guardo il tavolo, c’è la pillola rosa, la pillola della serenità , così la chiamano quelli della protezione civile. Probabilmente è a causa sua che non riesco a ricordare bene le cose, ma non posso farne a meno. Mi fa dormire tranquilla.

Provo a cercare nuovamente il ricordo del tuo abbraccio. I muscoli si tendono per stringere, la forza cresce gradualmente, finche non mi sento stretta, chiusa, tranquilla. Sono di nuovo sulla tua spalla, ti annuso il collo come un cane. Salgo dalla base del collo fino all’orecchio, per ritornare indietro felice del sentiero ritrovato. Voglio conservare nelle mie narici il tuo odore. Lo faccio sempre. Non so ancora che questa volta è la più importante.
Scrollo la testa, basta ricordare.
Controllo la finestra, è sigillata, così il virus che è fuori non entrerà. Starò bene.

 

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