Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

La speranza è un fiore fragile

di Coralba Capuani

La speranza è un fiore fragile
racconto di Coralba Capuani
Il fiore colorato aveva spalancato i petali multicolori dai quali, come rugiada, scie colorate si erano dissolte nella lenta caduta verso terra. Giada se ne era rimasta a osservare lo spettacolo dei giochi pirotecnici, finché qualcuno non si era stancato di dare il benvenuto al nuovo anno scacciando, in compenso, i guai e le disillusioni di quello vecchio.
Quello appena trascorso era stato molto cattivo con lei, le aveva portato via la sua adorata nonna Livia, un paio di conoscenti e alcuni vicini di casa. Persino il lavoro da commessa, dopo un periodo di aperture e chiusure, se ne era andato all’inizio dell’autunno, quando la malattia era tornata a bussare alle porte della città. Le strade si erano pian piano svuotate lasciando il posto a un silenzio così denso da fare male. Quell’assenza di suoni le ricordava il mese di marzo, quando, dopo un’insignificante febbriciattola, nonna Livia era entrata al Santo Spirito per uscirne in una bara. Giada aveva parlato con la nonna giusto qualche giorno prima del ricovero. Certo, non era stato facile cercare di spiegare alla nonna come funzionava una videochiamata, ma, alla fine, dopo una decina di tentativi andati a vuoto, le due donne erano riuscite a parlare senza troppe difficoltà.
«L’hai detto a tua madre?»
La nonna se ne era uscita con una frase che l’aveva spiazzata.
«Cosa?», aveva chiesto Giada pensando che la nonna non poteva mica saperlo.
«Devi dirglielo. Non è una cosa che si può tenere nascosta».
Giada aveva farfugliato qualcosa, e la nonna aveva deciso di non continuare a tormentarla. Sua nipote era una ragazza sveglia, e, sicuramente, il messaggio doveva essere stato recepito. E poi, in fondo, c’era ancora tempo. Anche se non avesse trovato il coraggio di confessare il suo segreto, ci avrebbe pensato lei a risolvere la situazione. Come faceva da sempre, ormai, per aiutare i suoi vivaci nipoti.
E invece il tempo le era scivolato tra le mani. Mani segnate dalla vita che ci era trascorsa sopra intagliandone la pelle come fanno gli anni con le cortecce degli alberi. Le sue mani, ossute e stanche, non erano riuscite a chiudersi in fretta. Non era riuscita a intrappolare gli ultimi scampoli di esistenza che, forse, se non fosse arrivata la nuova malattia, magari l’avrebbero fatta arrivare alla soglia dei cent’anni.
Invece Livia si era spenta dopo una settimana in sala rianimazione all’ospedale di Pescara. Giada non l’aveva salutata. Non aveva stretto tra le sue quelle mani ormai vinte dalla malattia, non le era stata accanto nel momento del trapasso, né le era stato consentito di dirle addio con una cerimonia funebre. Il tutto si era risolto in modo asettico e veloce, quasi si trattasse dell’archiviazione di un vecchio file. Non le era stato permesso di elaborare il lutto, e, perciò, in un certo senso, è come se la nonna non se ne fosse mai andata. Giada continuava a pensarla nella sua vecchia casa liberty in via del Circuito, il luogo in cui l’aveva vista l’ultima volta. Ma anche l’ultima occasione di felicità e condivisone prima dell’arrivo della cosa.
Ci aveva pensato tanto i questi mesi, di come gli esseri umani passino la vita a fare progetti che poi, un esserino invisibile, distrugge portandosi dietro tutti i sogni e le speranze.
Un anno orribile era trascorso, e quello che era appena iniziato portava con sé ancora gli strascichi di esistenze fatte a brandelli. Esisteva un mondo prima dell’arrivo di quell’esserino invisibile, ed esisteva un mondo diverso che nessuno sapeva immaginare. Sarebbero stati migliori rispetto a prima? L’umanità avrebbe imparato la lezione? O, piuttosto, passata l’emergenza, il mondo avrebbe ripreso le sue antiche abitudini?
Non lo sapeva. Giada non era in grado di trovare una risposta alle sue domande, e il futuro, con le sue incognite, la spaventava. Non erano trascorsi poi molti mesi dalla fine dell’anno precedente, quello in cui avevano ancora festeggiato come sempre; con cene e veglioni, brindisi, abbracci e baci sotto il vischio. Anche in quell’occasione avevano scacciato l’anno appena trascorso con i suoi dolori e delusioni per dare il benvenuto al nuovo decennio. Venti venti, lo avevano ribattezzato scimmiottando il modo anglosassone di chiamare gli anni. L’avevano considerata beneagurante quella doppia ripetizione, non immaginando il grado di dolore e sconcerto che aveva in serbo il 2020. Neppure il più fervido scrittore di fantascienza avrebbe potuto ipotizzare il “mondo nuovo” che stava per arrivare.
E dunque? Come essere ottimisti dopo una simile lezione?
Eppure quell’anno terribile era scivolato via già da una ventina di minuti. Il 2020 non c’era più. E anche se il cielo era nero come la pece, l’alba di un nuovo giorno sarebbe spuntata all’orizzonte tra una manciata di ore.
Giada si accarezzò il ventre che iniziava ad arrotondarsi pensando al nuovo mondo che i suoi occhi avrebbero visto. Gli occhi del suo bambino. O bambina.
Non doveva avere paura. Anche nella notte fonda, gli occhi di suo figlio, prima o poi, avrebbero visto l’alba. L’alba di un mondo che forse non era più come Giada, e, in fondo, l’umanità tutta, lo aveva conosciuto, ma che, forse, poteva diventare un luogo migliore. Un luogo nel quale la disuguaglianza, l’ingiustizia, la prevaricazione e l’egoismo sarebbero stati sostituiti da sentimenti più puri. Dipendeva da loro. Da lei. Da tutti. Se c’era una lezione che il 2020 le aveva lasciato, era che si poteva sopravvivere solo se non si lasciava morire la speranza. Un fiore fragile che doveva essere protetto dalle intemperie dell’inverno. E quello che stavano attraversando era durato mesi. Un lungo, interminabile periodo privo di luce e calore. Eppure, anche se lontana, prima o poi la luce di una nuova stagione sarebbe arrivata. Per lei e per l’umanità tutta. Bisognava solo aspettare. Resistere e aspettare. Bisognava preservare quel fiore delicato dalle zampate dell’inverno.
La speranza. Era questa l’unica risposta alle sue domande, pensò Giada intrecciando le mani prive di segni sul ventre.

 

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