Le cose di dopo
Il Contest del FLA2020
Nazareth: clinica per sani
di Matteo Levi
Adriano Sars è un medico con specializzazione in microbiologia. Nel corso della sua vita, a causa del suo carattere, è riuscito a non sfruttare per niente le sue conoscenze in qualche ospedale, e si è messo a studiare a casa propria batteri e virus in capsule di Petri, per combattere la solitudine, da lui definita una malattia alla stregua di tutte le altre esistenti. Restio al vivere una vita affollata, Adriano Sars nelle sue giornate non fa altro che leggere, passeggiare, amare i suoi streptococchi, e da un po’ spolverare una foto dove ha incorniciato la Klebsiella pneumoniae, batterio resistente a moltissimi antibiotici, legato ad un alto tasso di morbilità e mortalità.
Sars non è mai a suo agio quando deve fare la spesa. Tranne oggi. Le persone lo evitano. Molti indossano una mascherina, cosa a cui lui non fa caso, perché da sempre la indossa. Nel reparto salumi è intento a fissare il biglietto numerato, per evitare di incrociare gli sguardi altrui e scattare al segnale sonoro. Oggi no, è da solo. Per arrivare al suo etto di salame deve percorrere una serpentina che lo diverte. Esce e nota le strade quasi deserte. Ma Sars non viene colpito dai necrologi. Lui vive come in uno spazio dove i morti sono uguali ai vivi e non c’è motivo di preoccuparsi. Questa è la saggezza che alcuni potrebbero invidiargli. Altri lo disprezzerebbero: gli direbbero che denota una mancanza totale di empatia.Sua madre è scomparsa da una settimana. Così adesso vive con il suo gatto. I medici gli avevano detto che non si poteva celebrare alcun funerale in quel periodo. Ne risultò piacevolmente sorpreso ma non chiese altro. Anche la polizia gli aveva fortemente raccomandato di non celebrare alcunché di riconducibile ad una cerimonia funebre. Sars a quella notizia aveva abbassato i suoi occhiali rettangolari con montatura evanescente. Gli agenti avevano pensato ad un primo segnale di sgomento. Assistettero invece ad una svogliata pulizia delle lenti, e alla risposta àtona e affermativa del medico. Poco prima di Natale Adriano Sars vede terminare l’esigua eredità della madre. Non lavorando riduce sempre di più le uscite. Cosa che in parte lo rasserena e lo snellisce oltremodo. Decide di scrivere un libro. Si dedica ad esso con anima e corpo, perché non ha altro da fare. Non deve preoccuparsi dei batteri: si riproducono autonomamente. Non deve preoccuparsi dei virus: avrebbero bisogno del suo corpo per alimentarsi, ma lui mantiene le distanze. Non deve preoccuparsi del gatto, che lo ignora da sempre. Da dove venga tutta questa energia da parte di Sars nella stesura di questo progetto, nessuno sa. Non mangia. Beve poco. Scrive giorno e notte. Sembrerebbe una vita drammatica la sua, ma ci sono cose tragiche che uno fa passare per normali, per conviverci, per non rassegnarsi e per non morire. Dopo sei giorni di scrittura ininterrotta, Sars si affaccia alla finestra. Nota molte più ambulanze del solito. Ma nel suo cuore la serenità è grande, e quella visione non lo angoscia. Poi ne vede una fermarsi di fronte al suo palazzo. Da essa escono degli infermieri che gli sembrano astronauti. Un lieve turbamento lo attraversa. Si gira per guardare distrattamente alle sue capsule: virus e batteri stanno bene. Il gatto lo fissa inespressivo. Torna alla scrivania e scrive il titolo del libro: la demoralizzazione di un virus. Parassita destinato ad essere isolato e in attesa di altre cellule in cui svilupparsi o di corpi umani. Attesa che a volte dura decenni, centinaia di anni. Non passa nemmeno una settimana, un editore nota il libro di Adriano Sars e lo contatta immediatamente. Lo vuole pubblicare. Il motivo: una visione lucidissima della realtà, a partire dagli anni della pandemia del 2020 a quella di oggi. Con gli incassi derivanti dal suo saggio, Sars compra barattoli di ceci, pasta, pomodoro. Non può pensare alla fama, deve pensare alla fame. Non si mostra sorpreso del riconoscimento del suo valore, ma in parte è dubbioso del “lucidissima”. Non capisce come mai il suo libro si possa attribuire ai giorni che vive. Qualche giorno dopo incontra tre giornalisti sotto casa. Vogliono intervistarlo. Si sente molestato da quelle facce che lo fissano come se fosse un profeta. Gli domandano cosa ne pensa dell’attuale pandemia. Quando ne usciremo. Se sarà come la precedente. Adriano Sars non risponde. E questo fa crescere la curiosità per la sua veggenza. La pandemia di quell’anno aveva mostrato la vera faccia delle cose, le lacune politiche, i vuoti sanitari, e il vero carattere delle persone. La molestia mediatica va avanti per molto tempo. Sars diventa pazzo, per gli altri. Un giorno lo rinchiudono a Nazareth: una catena di cliniche psichiatriche nate dentro chiese sconsacrate. Il medico accetta questo destino pur di fuggire da quella vita. Ma nota che nella clinica le persone sono sane. Non approfondisce la questione per non destare nuovi clamori. Sars inizia a ritagliarsi la sua brillante solitudine anche qui dentro. Nota che gli altri guardano alla ferita e ne parlano senza sosta. Nessuno pensa alla cicatrice delle cose. Le stagioni passano. Le notti d’estate, quando l’afa ruba il respiro, Adriano Sars si concentra nel sentire il ronzio delle zanzare, che per lui è come una melodia antica dell’oscurità. Ne cattura una. Diventa sua amica. Nessuno ha mai capito perché studiasse in segreto batteri e virus. A volte desiderare un mondo migliore è una esagerazione che resta anonima, ma rassegnarsi a non pensarlo più è una viltà. Un giorno si affaccia dal campanile: da lì può vedere casa. Il gatto è ormai libero. Si chiede cosa resta di noi negli edifici che lasciamo. Fruga nella tasca. Una capsula di Petri che aveva portato con sé. Sembra sereno. Il giorno dopo lo trovano disteso nel suo letto. Nessuna ruga sul viso che denoti un turbamento. L’autopsia attribuisce la sua dipartita alla Klebsiella pneumoniae. Il sole quel giorno brilla. Sul davanzale della finestra c’è una capsula di Petri: è aperta. C’è la sua zanzara che riposa.