Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

La tenda gialla

di Andreina Moretti

LA TENDA GIALLA



Nonna Agata mi aveva cresciuta con amore e timore, era stata il mio pilastro e il mio unico punto di riferimento, una donna d’altri tempi con solidi valori cristiani e un cuore grande. In paese la guardavano con diffidenza, pensavano fosse una sorta di maliarda, una fattucchiera, un’indovina che prevedeva il futuro, l’avevano soprannominata “ Caffeina” perché oltre le carte, leggeva i fondi di caffè nelle tazzine.
Mi chiamo Sibilla, amo il profumo di vaniglia, il colore giallo, il caffè e nonna Agata.
Mia nonna sembrava una diva del cinema muto, avrebbe ispirato qualunque pittore o regista con il suo stile retrò e fuori dal tempo. Fin da piccola mi aveva insegnato a preparare il caffè, salivo su di uno sgabello posto vicino al lavandino, e caricavo la moka con destrezza. Le mie piccole manine miscelavo la giusta dose, annusando l’aroma di quella profumata polverina scura. «Ricordati che tutte le storie della vita girano intorno a una buona tazza di caffè!» Io annuivo anche se non capivo cosa significassero le sue parole. Dietro la tenda gialla spiavo tutto, trattenendo il respiro per non fare rumore. Ero curiosa di sapere perché tanta gente si recava da lei per raccontare le storie più intime, private, e perfino quelle nascoste e piccanti. Forse avevano pudore di confessarle a don Clemente, sempre burbero e bacchettone, che sicuramente non avrebbe capito. Come avrebbe potuto, dal momento che non era sposato né tantomeno fidanzato? E cosa ben più grave, non beveva neanche il caffè!
Quando in casa c’erano delle visite, la nonna tirava la pesante tenda di panno giallo usata come divisorio, separava la mia camera dalla cucina per un pò di privacy. La nostra casa era molto piccola, per ospitarmi la nonna sacrificò il suo adorato angolo dispensa, una rientranza del muro dove riponeva la frutta e la verdura. In men che non si dica smontò i ripiani in legno, spostò le cassette con le conserve invernali, e al loro posto sistemò il mio lettino. La tenda gialla era l’unico ricordo che possedevo di mia madre, in qualche modo mi riconduceva a lei per uno strano collegamento tra il cuore e la mente.
Doveva avere avuto molta fretta quella sera, partì senza preavviso al tramonto senza neppure salutare la madre. Buttò alla rinfusa le sue logore cianfrusaglie in una vecchia valigia, forse senza neppure pensare alla gravità del suo gesto, senza preoccuparsi di me nè delle vite di tutte noi… Quella stoffa gialla acquistata a buon mercato, rimase dimenticata e sgualcita in un angolo, come le nostre esistenze abbandonate, fino a che nonna Agata non ne cucì un’ indispensabile tenda che ci ricordasse di lei. «Tu sei un dono del cielo!» mi ripeteva abbracciandomi, in quei momenti sentivo forte il suo amore e mi nutrivo dell’affetto che mi donava. Spesso la vedevo triste e preoccupata, sapevo che piangeva per la mamma, per la vita che conduceva, per le scelte sbagliate, per gli amori consumati. «Il mondo che verrà sarà migliore solo se ci impegniamo ad essere uomini migliori!» mi diceva, e io volevo impegnarmi ad essere migliore…migliore come mia nonna.
La nostra casa profumava di caffè, di consigli e di rappacificazioni. La mattina mi svegliavo ridestata dall’aroma delizioso del caffè, che mi avvolgeva nel mio caldo giaciglio. Che cosa meravigliosa! A seconda dell’umore, la nonna, preparava le essenze da aggiungere alla nostra bevanda mattutina: zenzero, cardamomo, peperoncino, noce moscata, chiodi di garofano, un gusto sublime da dividere solo tra noi due e da gustare insieme.
Nonna Agata iniziò ad accusare un certo malessere: emicrania, dolori articolari, una strana oppressione al petto, febbre. Era sempre più debole e spossata. L’esistenza di nonna Agata un giorno cessò di esistere e io restai sola.
Con delle grosse forbici ho tagliato a metà la tenda gialla, la metà mancate l’ho deposta nella sua bara. Lei ha diviso il cuore con me, io ho diviso l’unico ricordo di mia madre con lei. Il futuro è una tenda gialla, un divisorio dal mondo celeste a quello terreno, il limite tra ciò che è, e ciò che sarà.
Mi chiamo Sibilla perché mia nonna sapeva che avrei ereditato la sua sensibilità, l’empatia, la resilienza e il suo cuore grande. Mi ha lasciato una lettera come testamento: Mi spaventa lasciarti tra uomini dalla grande forza distruttiva, che demoliscono ciò che con fatica hanno costruito. Bisogna cambiare modo di pensare e la direzione, altrimenti il domani sarà solo peggiore dell’oggi. Non basterà la paura, un virus o lo spettro della morte a regolamentare le nostre esistenze, l’uomo dimentica in fretta, ha la memoria corta, e dopo un primo momento di smarrimento, tutto ricomincia come prima. Abbiamo superato molti disastri ambientali e climatici, guerre e pandemie, ma le strade intraprese dall’umanità sono sempre quelle dell’egoismo, dei vizi e dell’egocentrismo, che purtroppo non conducono da nessuna parte. Ti sei mai chiesta come mai tante persone mi cercavano per predire il futuro? Perché c’è una sofferenza interna e una solitudine che nessuno può curare. Ricominciamo da noi...Riconquistiamo l’umanità. Il mondo che verrà sarà migliore grazie a ognuno di noi.

 

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