Le cose di dopo

Il Contest del FLA2020

uno strano corteo

di nino d’annunzio

UNO STRANO CORTEO
Le autorità ammonivano da un pò di tempo sul pericolo di assembramento, di spostamento, perfino di semplici conviviali. Parlavano di misure contro quel cazzo di morbo che andava impestando il mondo, ma a noi solo il padreterno ci avrebbe bloccato. Compare Aquino aveva portato una damigiana di un rojo superbo a cui avevamo tirato il collo a dovere, come meritava. Mezzo brillo, al calar della sera, mi ero rimesso in cammino. C’era traffico e avanzavo piano, ascoltando distrattamente notizie dalla radio. Mi intrigava, quella lentezza. A volte le vie che incrociano la Zelmar Michelini all'altezza di Calle Carlos Gardel si gonfiano di macchine, rallentando fino allo sfinimento la circolazione. Montevideo sembra paralizzarsi. Ero però allegro, mezzo intontonito, ma sereno, e fischiettavo una canzone che forse qualcuno aveva scritto per davvero. Le vetrine spente, le serrande abbassate e i rari passanti conferivano però all’atmosfera un grigiore invernale. Tutte quelle puttanate sui rischi e sulla pericolosità del morbo avevano impanicato la gente e ridotto sul lastrico i commerci. Giunto all’altezza di Avenida Gonzalo Ramirez, mi accorsi che l’immensa mole di traffico era in realtà dovuta ad una specie di corteo, che intravedevo più in là. Seguiva un carro listato a lutto con nastri e coccarde nere, trainato da due coppie di cavalli, neri anch’essi. In testa una piccola banda. Si dirigeva verso il Cemeterio Central. Un funerale! Chissà per chi era stata montata tutta quella sceneggiata? Cedendo alla curiosità, abbandonai la macchina al primo varco e risucchiato dalla folla mi ritrovai rasente la colonna. Sul carro un corpo era steso sul dorso, con un abito nero cangiante, braccia e gambe leggermente divaricate. A passo svelto, per non perdere l’essenziale, mi insinuai tra la gente. Inconfondibile, con le mani nelle tasche del paltó, un vecchio amico seguiva la fiumana. “Compà, che succede? Chi è morto?” gli chiesi. “Non hai saputo?” rispose tra esili singhiozzi guardandomi con sconforto “È morto Feliz Del Nuncio! quel maledetto morbo se l’è portato via!”. Così… tanto per la cronaca... Feliz Del Nuncio, sono io, perciò ribattei sorridendo “Eh… prima o poi tocca a tutti. L’ho sempre detto io, l’unico rimedio alla morte è la vecchiaia...” ricambiando la battuta. Passai oltre. Proprio lì, davanti a me, riconobbi distintamente persone conosciute e poco più in là, altre fisionomie familiari. Tornai indietro, sul marciapiedi. Leggermente più in alto rispetto al piano stradale avrei visto meglio. Tutte facce note, conoscenti, vicini di casa, parenti addirittura. “Oh per Dio!” esclamai senza alcun ritegno “ma che madonna è sta cosa!” Aahh... la vendetta di quella maledetta damigiana di vino tinto, pensai. Comunque, a un tizio al mio fianco “Scusa, chi è morto?” bisbigliai. La stessa beffarda risposta “Feliz Del Nuncio... c’è rimasto fregato!” e aggiunse “...era un bravo diavolo, in fondo”. Non riuscii a trattenermi “Un buon diavolo?” gli gridai in faccia imbestialito prendendolo per il bavero della giacchetta “Guardami! Chi sono io? Mi riconosci?” ma quello ringhiando sotto la mascherina scomposta, liberandosi con un risoluto scossone e scansandomi con una spinta “uagliò, se sei ubriaco va a rompere i coglioni da un’altra parte” urlò. Il parapiglia aveva attirato l’attenzione generale e più d’uno mi lanciava bruttissime occhiate di disappunto. Nessuno mi riconosceva, neppure un cenno o uno sguardo conciliante. Chi ero diventato? M’era successo qualcosa di cui non mi ero neppure accorto? Un piccolo bar, chiuso, con le sue vetrine avrebbe fatto al mio caso. Impalato come un salame mi guardavo in quegli specchi improvvisati, ero io, ero io, ma chi cazzo volete che fossi? Io, Feliz Del Nuncio, chi altri? Dovevo assolutamente salire su quel carro, vedere chi c’era lì sopra, per Dio! Cominciai a risalire la scia con decisione, facendomi largo a spinte, gomitate, strattoni, tra mugugni e imprecazioni. Tutti quei visi bendati dai quali affioravano occhi severi cominciavano a farmi spavento. Niente, nessun cenno alla mia vista, nessuna sorpresa da parte di zii, cugini, nipoti, parenti vicini e lontani, amici strettissimi. Con il viso sfatto, gli occhi rossi e gonfi di lacrime, persi e ammutoliti, sembravano solo dondolare, come pini di una riviera battuta da l vento “Bastaaaa!!” urlai arrampicandomi sul carro. Mi lanciai su quel corpo esanime e… oh mio Dio! stavo per morire davvero! Era tutto vero! Gesù! Ero io! Proprio io! Morto, con quel cazzo di colorito dei morti, con quella espressione cadaverica che chissà quante volte mi aveva scosso e fatto rabbrividire. Ora era la mia. Mi alzai di scatto, ritto sul carro funebre, rivolto alla folla impietrita, mentre nello scompiglio gli addetti alla cerimonia tentavano di riportare l’imprevisto siparietto alla normalità “Non sono morto! Guardatemi, sono vivo, sono iooo!” urlavo a squarciagola, come un forsennato, alla ressa sbalordita. Un brutto ceffo saltato sù provò ad agguantarmi. Perdendo l’equilibrio indietreggiando inciampai su quel corpo freddo, precipitando con un tonfo sordo a terra. Buio. Silenzio. Poi nulla. Ora i miei occhi, socchiusi, affondavano languidamente su uno sfondo bianco rassicurante, con riflessi di azzurro, che aveva spazzato via tutta quella angoscia. La lugubre messinscena si era volatilizzata. Tuttavia, un affanno bloccava i miei polmoni, una fastidiosa tosse mi mozzava il fiato, sentivo una specie di tubo gelido ficcato in gola e la fronte sudaticcia. Dov’ero? Scorgevo solo sagome, come se le intravvedessi oltre un telo di plastica. Ah... ma era stato solo un brutto sogno... il carro, la gente… tutte le scene di dolore e lo sconcerto che avevo provato... il funerale. Che sollievo, ero vivo! Avrei voluto alzarmi, ma la mia testa sembrava furtivamente occupata da un nido di vespe. Ci avrei pensato dopo. Ora no, intanto non ero morto. Credetemi, non è bello morire! Anche con un gran bel funerale, non è affatto bello morire.

 

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